IL RUOLO DEI PARLAMENTI NAZIONALI NELL’UNIONE EUROPEA
di Dieter Grimm
SOMMARIO: 1 Tendenze generali di deparlamentarizzazione. — 2 La situazione in Europa. — 2.1. Il trasferimento di
sovranità dagli Stati membri all’UE — 2.2. L’esercizio di competenze trasferite da parte dell‘UE. — 2.3.
L’attuazione del diritto dell’Unione a livello nazionale. — 2.4. Compensazioni per la perdita di importanza dei
parlamenti nazionali. — 3. Parlamentarizzazione della UE come compensazione?
1.Tendenze generali di deparlamentarizzazione.
Il processo di integrazione europea conduce ad un ridimensionamento dei parlamenti
nazionali, e in questo modo del potere legislativo. Tale ridimensionamento avvantaggia
non tanto il Parlamento Europeo, ma assai più i governi nazionali e il potere esecutivo,
mentre l’incremento di competenze che il Parlamento Europeo ha invocato e ricevuto non è
sufficiente a compensare questa perdita di importanza.
Anche a livello europeo il Parlamento
resta debole, persino in confronto ai parlamenti nazionali. Una migliore attribuzione di
competenze potrebbe anche essere immaginabile, ma non eliminerebbe il deficit di
legittimazione dell’UE.
In sintesi, è questa la tesi del presente contributo. Prima di entrare nel dettaglio, vorrei però
precisare che la perdita di rilevanza non rappresenta una caratteristica specifica dei
parlamenti.
Quello che si ravvisa è soprattutto una generale tendenza alla
deparlamentarizzazione: una tendenza che ha ragioni strutturali, che frustrano le speranze di
un suo contenimento o di una sua eliminazione. Le ragioni strutturali derivano dalle mutate
condizioni della politica statale, affetta da cambiamenti di due tipi: all’interno degli Stati essi sono causati dal passaggio dallo Stato liberale, che tutelava l’ordine precostituito, allo Stato
sociale, finalizzato alla creazione di un assetto ordinato.
Sul piano esterno, i cambiamenti si
devono alla trasformazione degli Stati nazionali autonomi in Stati membri di organizzazioni
internazionali, ed al trasferimento di sovranità dai primi a queste ultime. Dal momento che
l’Unione Europea rappresenta un’organizzazione internazionale particolarmente integrata,
l’erosione della funzione parlamentare si verifica in misura più forte che in altri contesti.
A livello internazionale, il processo decisionale di tipo deliberativo viene gradualmente
sostituito da un procedimento di carattere negoziale. Sono soprattutto i governi a negoziare,
mentre i parlamenti entrano in gioco solo per ratificare i risultati delle trattative.
Il potere di
influenza consentito dalla ratifica non è lo stesso che permette l’esercizio della potestà
legislativa. Nel procedimento legislativo il Parlamento decide il contenuto della decisione,
anche quando il progetto di legge proviene dal Governo, e questa non è solo una possibilità
teorica, ma una realtà pratica.
Raramente un disegno di legge di provenienza governativa
diventa legge senza subire modifiche. Nella ratifica, invece, il contenuto della decisione è già
stabilito. Il Parlamento può solo prendere o lasciare. Il rifiuto rappresenterebbe però un
disconoscimento del Governo, che è sostenuto dalla maggioranza del Parlamento.
Per
questo, i costi politici di un “NO” risultano abitualmente troppo alti. I trattati europei hanno
fallito solo laddove era previsto un referendum.
Lo spostamento dell’accento dalla deliberazione alla negoziazione non è determinato però
soltanto da fattori esterni, in quanto esistono anche ragioni interne che lo determinano.
Il
motivo risiede nella modifica della statualità, che ha preso l’avvio già nel tardo XIX secolo e,
malgrado alcune correzioni minime, non ha subito finora cambiamenti. Lo Stato non è più
solo il garante di un ordine sociale preesistente e del quale si presuppone l’equità, ma
sviluppa e modifica continuamente questo ordine, per adeguarsi a sfide mutevoli e a esigenze
di giustizia. Esso porta oggi l’intera responsabilità per l’esistenza e il benessere della società.
L’importanza maggiore è quella relativa al sostegno della crescita economica, alla tutela
dell’ambiente e alla prevenzione di ogni tipologia di rischio.
Molti di questi compiti non si possono più adempiere con l’ordine e l’obbligo, i tipici
strumenti a disposizione dello Stato. In parte questo non è possibile, in parte non è
consentito giuridicamente, in parte non è opportuno.
Lo Stato è chiamato ad attuare i propri
doveri di cooperazione con i soggetti privati, spesso quegli stessi soggetti che determinano i
problemi che poi esigono un intervento dello Stato. I soggetti privati guadagnano così una
posizione di veto che favorisce il passaggio ad una posizione negoziale.
Se l’attuazione dei
risultati del negoziato richiede una legge, non ci sono modi per aggirare il Parlamento.
Ma
questo si trova allora in una situazione simile a quella prevista dalla ratifica di trattati
internazionali: non può determinare in alcun modo il contenuto della legge, ma solo
confermarlo o respingerlo.
Se le trattative avvengono in una modalità per la quale lo Stato
rinuncia alla disciplina legislativa, mentre i soggetto privati che hanno causato il problema
promettono una buona condotta, il Parlamento non entra nemmeno in gioco.
Ora lascio da parte queste considerazioni generali sulla condizione generale del parlamentarismo e faccio
riferimento alla speciale questione del ruolo dei parlamenti nazionali nell’UE.
2. La situazione in Europa
Nel descrivere la situazione europea si devono distinguere tre stadi:
- Il trasferimento di sovranità dagli Stati membri all’UE.
- l’esercizio della sovranità trasferita da parte dell’UE.
- L’attuazione delle decisioni europee da parte degli Stati membri.
In ognuno di questi stadi i parlamenti nazionali svolgono delle funzioni diverse.
2.1. La situazione in Europa
Il trasferimento dei diritti di sovranità nazionale avviene attraverso la stipulazione di trattati
tra gli Stati membri. Il contenuto dei trattati costituisce il diritto europeo primario.
Di norma
vengono trasferiti diritti di sovranità che all’interno dello Stato spettano al Parlamento, in
particolare competenze legislative, ma con la creazione dell’unione monetaria anche
competenze finanziarie e di bilancio, ovvero poteri chiave dell’organo parlamentare.
Altre
competenze come la formazione del Governo e i controlli sull’Esecutivo non sono invece
interessati dal trasferimento di competenze.
Il trasferimento esige l’unanimità di tutti gli Stati membri, e viene ottenuto nel corso di
trattative dei Capi di Stato e di Governo, l’Esecutivo ne decide il contenuto.
L’esito delle
trattative, però, acquista una valenza giuridica solo attraverso la ratifica in tutti gli Stati
membri, conformemente alle norme vigenti in materia nelle rispettive costituzioni nazionali.
In alcuni Stati membri è inoltre previsto un referendum, in alcuni una modifica
costituzionale, nella maggior parte di loro una legge di approvazione da parte del
Parlamento.
Il questo frangente il Parlamento si trova di nuovo di fronte ad una scelta tra un
Si e un No.
Il contenuto dei trattati internazionali degli Stati membri non può essere
modificato all’interno dell’iter parlamentare; tuttavia, al Parlamento spetta un ruolo decisivo:
esso funge da filtro per la cessione di diritti di sovranità.
Alcune costituzioni nazionali pongono condizioni per il trasferimento di sovranità. La
Legge Fondamentale (LF) tedesca è particolarmente dettagliata a riguardo.
Secondo l’art. 23 I
LF, i diritti di sovranità possono essere trasferiti solo se la UE risulta obbligata al rispetto dei
principi democratici, giurisdizionali, sociali, federali e del principio di sussidiarietà, e venga
assicurato un livello di protezione dei diritti fondamentali equiparabile a quello previsto dalla
Legge Fondamentale.
Dal momento che questo trasferimento modifica la Legge
Fondamentale senza determinare cambiamenti testuali, alla ratifica di trattati europei si applicano le stesse regole vigenti per le revisioni costituzionali.
Queste richiedono una
maggioranza di due terzi in Parlamento e non possono violare l’art. 79 III della LF.
La conseguenza, chiaramente, è che non tutto ciò che è compreso nella Legge
Fondamentale è corretto. Se ci si vuole informare sulla disciplina costituzionale attualmente
vigente in uno Stato membro della UE non ci può affidare esclusivamente al testo
costituzionale nazionale, ma è necessario ricorrere anche ai trattati europei.
Così, per es.,
l’art. 73 LF attribuisce alla Federazione l’esclusiva potestà legislativa sulla moneta, i cambi
valutari, l’emissione di moneta e le dogane. In realtà, tutte queste materie sono state trasferite
all’EU. Altre competenze legislative della Federazione sussistono ancora solo in parte, come
la competenza legislativa esclusiva in materia di immigrazione, dal momento che all’interno
della UE vige la libertà di circolazione.
Alle condizioni previste dall’art. 23 I LF relative al trasferimento dei diritti di sovranità, il
Tribunale Costituzionale federale ne ha aggiunte altre deducibili da altre disposizioni della
Legge Fondamentale.
Per quanto interessa in questa sede, l’aspetto più rilevante riguarda il
fatto che il trasferimento di diritti di sovranità all’Unione Europea non può condurre ad uno
svuotamento delle funzioni del Bundestag.
Questo limite al trasferimento di sovranità si
deduce dall’art. 38 I LF. Il Tribunale Costituzionale federale interpreta il diritto elettorale
non in senso formale, ma materiale, e non attribuisce soltanto ai cittadini il diritto di
partecipare alle elezioni per il Bundestag: una volta eletto, il Bundestag deve poi disporre di
una sufficiente capacità decisionale per trasformare la volontà popolare in provvedimenti
politici e dare effettività all’interno del processo politico alle preferenze degli elettori espresse
attraverso le consultazioni elettorali.
Rispetto alle condizioni per il trasferimento di competenze, il Tribunale Costituzionale
federale distingue tra sovranità e diritti di sovranità. La Legge Fondamentale consente all’art.
23 I solo il trasferimento di diritti di sovranità, non il trasferimento della sovranità. Persino
attraverso una revisione costituzionale questo limite non potrebbe essere superato, in quanto
secondo il Tribunale di Karlsruhe la sovranità della Repubblica Federale è protetta ai sensi
dell’art 79 III LF anche rispetto alle revisioni costituzionali. Pertanto, la Repubblica Federale
tedesca non potrebbe prendere parte ad una trasformazione dell’UE in Stato federale
mantenendo vigente la Legge Fondamentale.
Secondo il Tribunale Costituzionale federale, il Bundestag è responsabile anche per la
deliberazione del processo di integrazione degli Stati membri.
Delle deleghe in bianco sono
pertanto assolutamente escluse. Ma anche nell’ambito delle singole deleghe il Parlamento
può approvare dei provvedimenti di integrazione che abbiano una portata prevedibile. Ciò
produce delle conseguenze sulle trattative del Governo federale nella Conferenza dei Capi di
Stato e di Governo: l’Esecutivo della RFT può accettare solo dei risultati che il Bundestag sia
in grado di ratificare. Pertanto, il Governo deve tenere conto di questo aspetto già in sede
negoziale, se vuole evitare un fallimento più tardi in Parlamento o, in ultima analisi, davanti
al Tribunale Costituzionale federale.
L’effettiva entità dello spostamento di potere si può tuttavia comprendere solamente
considerando non soltanto i formali trasferimenti di competenze, ma anche l’insidiosa
erosione delle potestà dei parlamenti negli Stati membri dell’Unione.
La fonte di questa
erosione non è rappresentata dalle modifiche dei trattati, ma dalle interpretazioni dei trattati
da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (una volta CGCE, oggi CGUE), la
quale pone alla base della propria interpretazione dei trattati il principio metodologico del cd.
effet utile.
Secondo questo principio, i trattati vanno interpretati in modo che l’UE possa
esercitare senza limitazioni le proprie competenze, cosa che al tempo stesso significa che le
competenze nazionali devono essere contestualmente il più possibile limitate.
La Corte di Giustizia ha perseguito questo obiettivo con lena missionaria, nel momento in
cui ha dichiarato in larga parte inapplicabili delle norme approvate dai parlamenti nazionali
attraverso un’interpretazione estensiva del diritto comunitario.
Ma anche il Consiglio ha
preso parte alla sostituzione del diritto parlamentare nazionale con il diritto governativo
europeo, approfittando in questo modo del fatto che nella UE le competenze legislative
vengono ripartite non secondo un criterio materiale, ma in base ad un criterio di carattere
finanziario. Laddove appaia necessario creare o conservare il Mercato Comune, la potestà
legislativa spetta all’Unione. Così, l’UE può intervenire anche in materie per le quali gli Stati
membri non hanno trasferito nessun tipo di competenze legislative.
A trarne vantaggio sono
le quattro libertà economiche fondamentali, che in questo modo, diversamente che negli
Stati membri, si ergono a criterio dominante.
La Carta Europea dei diritti, nell’interpretazione che ne dà la Corte di Giustizia, si dimostra
un ulteriore strumento per il restringimento delle competenze nazionali. Secondo l’art. 51, la
Carta vincola sia le istituzioni europee che gli Stati membri, ma solo quando questi ultimi
danno attuazione al diritto dell’Unione.
Un ampliamento delle competenze attraverso la
Carta dei Diritti è esplicitamente vietata; inoltre, nell’art. 53 è escluso che l’ambito di
applicazione della Carta possa determinare una riduzione della protezione dei diritti
fondamentali a livello nazionale. La Corte EDU interpreta l’art. 51 nel senso che
nell’applicazione del diritto dell’Unione rientri anche quella del diritto nazionale, a
condizione che questo si ponga in correlazione con il diritto dell’Unione: cosa che accade
ormai quasi sempre, considerato il livello di interrelazione raggiunto tra diritto dell’Unione e
diritto nazionale. L’art. 51 perde così i suoi tratti caratteristici.
Sebbene, in base all’art. 51 II, la Carta dei Diritti non possa giustificare la titolarità di alcuna
competenza al di fuori di quelle espressamente trasferite, attraverso l’interpretazione della
Corte di Giustizia le competenze legislative nazionali risultano tuttavia poste in secondo
piano.
La protezione dei dati personali rappresenta un buon esempio in questo senso. Essa
non è una materia a se stante, ma trasversale, rispetto alla quale va rispettato ogni intervento
normativo del singolo Stato membro.
Dal momento che, secondo la giurisprudenza della
Corte di Giustizia, i diritti fondamentali nazionali vanno compressi in tutti quei casi in cui il
diritto nazionale entra in qualche modo in contatto con il diritto dell’Unione, così facendo i giudici di Strasburgo si procurano un accesso ad una serie di materie legislative che gli Stati
membri non hanno trasferito all’Unione.
Lo stesso dicasi per la garanzia che esige che un livello superiore di protezione dei diritti
fondamentali nazionali non può risultare subordinato attraverso l’interpretazione della Carta
dei Diritti.
La Corte di Giustizia riconosce questo principio solo nel caso in cui la legislazione
nazionale non si traduca in un ridimensionamento delle libertà fondamentali economiche
che, in questo modo, si trasformano in libertà superiori.
In realtà, l’art. 53 viene
effettivamente minacciato quando vengono posti in discussione dei rapporti giuridici non bi- ma tripolari, perché in questi casi l’aumento di protezione di un diritto fondamentale si
traduce inevitabilmente nella compressione di un altro diritto.
Contro l’erosione delle loro competenze i parlamenti nazionali sono impotenti.
Poiché i
trattati vengono elevati a rango di norme costituzionali attraverso la giurisprudenza della
Corte di Giustizia, e di conseguenza ambiscono ad una preminenza sia rispetto al diritto
comunitario secondario che soprattutto al diritto nazionale, l’interpretazione e l’applicazione
dei trattati si trasforma quasi in un’attuazione della Costituzione.
Le istituzioni politiche
dell’Unione, il Consiglio e il Parlamento Europeo non hanno di fatto alcuna possibilità di
intervenire in modo correttivo. Il Tribunale Costituzionale federale esprime pertanto una
corretta valutazione della situazione nel momento in cui stabilisce che l’unico contrappeso
all’espansiva tendenza giurisprudenziale della Corte di Giustizia sia rappresentato dalle corti
costituzionali.
La loro funzione consiste anche nel proteggere i parlamenti degli Stati e in
questo modo la democrazia nazionale da un ulteriore deperimento.
2.2. L’esercizio di competenze trasferite da parte dell‘UE
Una volta che delle competenze nazionali sono trasferite, il loro esercizio si svolge non più
in base alle costituzioni nazionali, ma secondo il diritto europeo.
Mentre il diritto primario
europeo viene stabilito dagli Stati membri, la deliberazione del diritto secondario è
competenza esclusiva dell’UE. La legislazione europea viene posta in essere in
collaborazione tra Commissione, che detiene il diritto di iniziativa, Consiglio dei Ministri, che
determina il contenuto delle norme legislative, e Parlamento Europeo, a cui spettano graduali
competenze di codecisione.
Il soggetto principale è il Consiglio, nel quale sono rappresentati
i governi degli Stati membri. L’unico modo per i parlamenti nazionali per esercitare
un’influenza sui contenuti del diritto secondario dell’Unione è dunque attraverso gli esecutivi
nazionali.
Per questo esistono una serie di possibilità, che vanno dalle abituali forme di controllo
sull’operato dell’Esecutivo, fino all’emanazione di un mandato vincolante per i governi,
come nel caso di Gran Bretagna, Danimarca e Austria. In Germania l’art. 23 II LF disciplina
la partecipazione del Parlamento in materia di integrazione europea. Nel dettaglio, la norma
impone al Governo federale dei doveri di informazione; il Parlamento ha la possibilità di esprimere delle posizioni rispetto ad atti legislativi europei, di cui il Governo federale deve
necessariamente tenere conto nei negoziati condotti nel Consiglio.
Fin quando la legislazione
europea concerne materie che a livello statuale sarebbero di competenza dei Länder, la
posizione del Bundesrat va “autenticamente” rispettata. “Rispettare” non significa “seguire”,
ma richiede delle motivazioni profonde in caso di mancato rispetto di dette posizioni.
Il fatto che in Germania non esista un mandato imperativo appare appropriato,
considerando la particolarità della legislazione europea, che per sua natura non è una
questione di deliberazione tra orientamenti politici differenti, ma di negoziazione tra distinti
interessi nazionali.
Il successo di un Governo nella formulazione di progetti di legge dipende
dal suo margine di trattativa. Chi non può reagire in modo flessibile, o deve farsi rassicurare
dal proprio Parlamento prima di ogni passo, può diventare rapidamente incapace di stringere
compromessi e quindi ridursi solamente a minacciare veti. Una minaccia del genere, tuttavia,
resta priva di conseguenze fin quando per le decisioni del Consiglio si segue il principio della
maggioranza. In generale si può dire che l’influenza di un Governo incapace di flessibilità sul
contenuto di una legge diminuisce.
Le discipline interne degli Stati trovano un sostegno a livello europeo. L’art. 12 del Trattato
dell’Unione Europea (TUE) dice che i parlamenti nazionali contribuiscono “attivamente al
buon funzionamento dell’Unione”.
Per questo scopo, essi devono venire ampiamente
informati. I protocolli sul ruolo dei parlamenti nazionali nella UE (Protocollo nr. 1) e
sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità (Protocollo nr. 2) attribuiscono
ai parlamenti nazionali in temi connessi al principio di sussidiarietà un diritto all’emanazione
di pareri che vanno poi tenuti in considerazione dalle istituzioni europee.
Al fine di rendere
più effettivo il principio di sussidiarietà, in base all’art. 5 TUE e all’art 8 del Protocollo nr. 2, i
parlamenti nazionali sono inoltre autorizzati ad avviare un ricorso per violazione dei trattati
davanti alla Corte Europea di Giustizia. Questo diritto incontra poi un rafforzamento a
livello nazionale dal fatto che la Legge Fondamentale all’art. 23 Ia obbliga il Bundestag alla
presentazione di tale ricorso se un quarto dei suoi membri lo richiede.
2.3. L’attuazione del diritto dell’Unione a livello nazionale
La UE dispone di diverse forme di legislazione dalle quali dipendono le capacità di
influenza dei parlamenti nazionali. I regolamenti europei sono immediatamente vincolanti
per le istituzioni nazionali: pertanto, non sussiste alcun margine per una partecipazione dei
parlamenti nazionali.
Le direttive e le decisioni quadro sono vincolanti per gli Stati membri
riguardo allo scopo, ma lasciano spazio relativamente agli strumenti e ai modi per il
raggiungimento dell’obiettivo preposto. Per la loro conversione esse dipendono da leggi
nazionali, così che in questo caso i parlamenti nazionali entrano di nuovo in gioco.
Una parte
rilevante delle leggi nazionali viene in questo modo determinata da norme di diritto
comunitario. E’ difficile citare dati attendibili: una ricerca del Bundestag ha indicato che il 30% dell’intera produzione normativa federale è costituita da leggi determinate da diritto
comunitario.
La Corte Europea di Giustizia ha costantemente ampliato anche l’efficacia delle direttive.
Nel caso di una conversione in legge nazionale mancante o insufficiente, le direttive sono
immediatamente applicabili per quanto consentito dal loro contenuto.
Questo rappresenta
uno stimolo a redigerle in modo sempre più dettagliato. In certe condizioni, la loro
vincolatività interviene già prima della scadenza del termine fissato per la loro conversione.
Nel caso di mancata osservanza di una direttiva possono essere emanate delle sanzioni
economiche molto elevate. Fino ad ora la Corte di Giustizia non ha mai annullato una
direttiva per aver eccessivamente ristretto lo spazio di azione degli Stati membri. D’altro
canto, il Tribunale Costituzionale federale ha sollecitato il Legislatore tedesco ad utilizzare lo
spazio di intervento a sua disposizione anche per sostenere l’efficacia dei diritti fondamentali
nazionali.
2.4. Compensazioni per la perdita di importanza dei parlamenti nazionali
Da entrambe le parti, sia europea che nazionale, sono in atto dei tentativi per compensare
la perdita di importanza dei parlamenti nazionali nella UE. Molti di essi si esauriscono in un
rafforzato coinvolgimento dei parlamenti nazionali nel procedimento legislativo europeo.
I
diritti di partecipazione e le possibilità di ricorso a livello europeo sono già stati menzionati.
A livello nazionale si può quasi considerare un tratto caratteristico della giurisprudenza del
Tribunale Costituzionale attribuire al Bundestag la responsabilità per il progresso
dell’integrazione europea.
Il Tribunale Costituzionale federale ha superato i propri dubbi in
merito alla costituzionalità dei Trattati di Maastricht e di Lisbona avendo fatto dipendere i
passaggi più importanti del processo di integrazione dall’approvazione del Bundestag.
Nel frattempo, la perdita di rilevanza non può essere compensata da nessuno di questi
provvedimenti, che si esauriscono regolarmente nella partecipazione a decisioni assunte da
altri. Ciò non è in alcun modo equivalente al potere di decidere autonomamente.
A ciò si
aggiunge che spesso l’esercizio dei diritti di partecipazione eccede le capacità dei parlamenti
nazionali. La semplice massa di informazioni non è gestibile dai parlamenti degli Stati
membri più grandi, che dispongono di un apparato ben organizzato, come i servizi
parlamentari a disposizione del Bundestag, figurarsi dai parlamenti degli Stati più piccoli.
Soltanto le informazioni da Bruxelles ammontano ad oltre 500 l’anno, dunque a più di una al
giorno. I pareri del Bundestag che vengono comunicati a Bruxelles non arrivano nemmeno
al 5% di queste informazioni.
Un caso particolare è quello delle competenze dei parlamenti per l’attuazione del principio
di sussidiarietà.
Il principio è stato riconosciuto già nel Trattato di Maastricht del 1992, ma è
rimasto assolutamente inefficace.
Le possibilità di ricorso attribuite dal Trattato di Lisbona ai
parlamenti nazionali dovrebbero dunque consentire una più efficace validità del principio di sussidiarietà.
Dal momento che i parlamenti nazionali sono le vittime dell’inefficacia del
principio di sussidiarietà, ci si attendono da parte loro dei passi importanti per la sua
attuazione.
Se questo possa accadere è tuttavia dubbio. I dubbi riguardano da un lato la
scarsa disponibilità della Corte di Giustizia a prestare attenzione agli interessi giuridicamente
tutelati degli Stati membri. Dall’altro, i dubbi sono giustificati dalla circostanza che
l’ineffettività del principio trova le sue ragioni più profonde non nelle possibilità di ricorso a
favore dei parlamenti nazionali, finora assenti, ma nella mancante giustiziabilità.
La
sussidiarietà è una buona linea guida per l’attuazione di sistemi federali, ma senza un’ulteriore
concretizzazione, questo principio rimane troppo indefinito per la risoluzione giurisdizionale
di controversie.
Se c’è qualcosa che può essere considerato una political question, è il dover
valutare se “gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura
sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono,
a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a
livello di Unione” (art. 5 III TUE).
Il principio di sussidiarietà quale norma decisionale è
quindi povera nei contenuti, nella misura in cui la Corte di Giustizia si considera obbligata a
respingere i ricorsi per mancanza di giustiziabilità, o a svolgere valutazioni politiche
nell’ambito dell’interpretazione del diritto.
Un aspetto è tanto insoddisfacente quanto l’altro.
3. Parlamentarizzazione della UE come compensazione?
Di fronte a questo bilancio, si pone in conclusione la domanda se dunque il Parlamento
Europeo sia in grado di compensare sul piano europeo l’erosione del potere legislativo a
livello nazionale. Nel rispondere occorre chiaramente ricordare che l’Ue non è uno Stato, e
che il suo sistema politico non è una democrazia parlamentare.
L’Unione è una creatura di
Stati sovrani che hanno mantenuto il diritto di decidere sull’esistenza, i compiti e la struttura
dell’UE. Ciò trova espressione nel fatto che il Consiglio è rimasto l’organo centrale dell’UE,
nonostante tutte le modifiche dei trattati.
Il Parlamento Europeo, che ha visto costantemente
espandere le proprie prerogative, è nel frattempo più che un mero titolare di un diritto di
veto, ma resta ancora lontano da un’equiparazione al Consiglio, e a maggior ragione non vi è
in alcun modo superiore.
Spesso viene proposto di modificare questa situazione e di dotare il Parlamento Europeo
delle competenze rimaste a disposizione dei parlamenti nazionali.
Il Parlamento Europeo
verrebbe così posto al centro della UE e la Commissione verrebbe equiparata ad un
Governo parlamentare, mentre il Consiglio sarebbe retrocesso al rango di seconda camera
del Parlamento Europeo.
In questa proposta risiede la speranza che il deficit di
legittimazione europeo si possa superare solo nel momento in cui l’organo direttamente
eletto dai cittadini, e non più il Consiglio - che è legittimato solo a livello nazionale e solo in
maniera indiretta -, possa decidere le sorti europee.
Queste aspettative si avvererebbero se l’UE venisse trasformata in un sistema parlamentare
sul modello nazionale? Ciò sarebbe presumibile solo se i problemi di legittimazione della UE
fossero dovuti alla limitatezza delle competenze del Parlamento Europeo.
Di questo si può
chiaramente dubitare. E’ indicativo che la partecipazione alle elezioni europee abbia luogo in
misura corrispondente all’entità delle competenze guadagnate dal Parlamento Europeo.
Ciò
lascia quanto meno presumere che delle competenze parlamentari troppo limitate non
rappresentino la causa più importante del letargo o addirittura del rifiuto manifestato nei
confronti dell’Europa da parte delle popolazioni nazionali.
Per questo ci si deve domandare se le cause dei problemi di accettazione non abbiano radici
più profonde. Alcune si possono riscontrare a livello istituzionale.
La rappresentatività del
Parlamento Europeo è limitata, perché le elezioni europee non sono realmente europeizzate.
Con ciò non si vuole solo intendere che malgrado l’affermazione contenuta nel Trattato di
Lisbona non esiste ancora un diritto elettorale europeo, e che invece si va a votare secondo
le disposizioni del diritto elettorale nazionale. Nemmeno i partiti politici sono realmente
europeizzati.
Nella campagna elettorale per il Parlamento Europeo si candidano partiti
nazionali che concorrono per il voto degli elettori con programmi elettorali nazionali.
Il
risultato elettorale viene analizzato in ottica nazionale. Al momento, nel Parlamento
Europeo sono rappresentati non meno di 200 partiti nazionali.
Inoltre, i partiti politici in quanto tali non svolgono alcun ruolo decisivo.
Come attori nel
Parlamento Europeo figurano assai più i gruppi parlamentari, blande forme di cooperazione
di partiti ideologicamente collegati, privi di radicamento sociale. In questo modo si crea la
curiosa situazione per cui i partiti per i quali è possibile votare non svolgono alcuna funzione
nel Parlamento Europeo, mentre quei partiti che esercitano un certo ruolo in quel contesto
non possono essere votati.
Il flusso di legittimazione dai cittadini dell’Unione al loro organo
rappresentativo è troncato.
Le modalità di candidatura dei candidati di spicco nelle ultime
elezioni per il Parlamento Europeo non ha modificato in nessun modo queste incoerenze.
Questi problemi, legati allo stesso contesto istituzionale, si possono superare a patto di
essere disposti ad un’europeizzazione della disciplina elettorale e dei partiti politici.
Ad ogni
modo, non è pensabile che così si possano risolvere tutti i problemi di accettazione
dell’Unione Europea. I parlamenti possono adempiere alla loro funzione di collegamento tra
società e organi politici solo se sono a loro volta radicati nella società che rappresentano, e
sono coinvolti in un costante discorso politico nel quale fungono contemporaneamente da
comunicatori e ricettori.
Questa sfida non è vinta semplicemente quando i media nazionali
riferiscono la prospettiva nazionale su questioni di portata europea: sarebbero assai più
necessari dei media europei, per i quali tuttavia mancano le condizioni, viste le differenze
linguistiche e le diverse abitudini comunicative.
Dal momento che anche le particolari istanze di collegamento che negli Stati nazionali
forniscono un’ampia base strutturale di politica democratica sono debolmente sviluppate
nella UE, la democrazia europea rimane anch’essa debole.
A differenza della disciplina elettorale e della regolamentazione dei partiti, tale questione resta in massima parte estranea a
riforme di carattere istituzionale.
Non è lecito attendersi rapidi mutamenti a riguardo. Per
questa ragione, i valori che danno uno sviluppo ai parlamenti, quali la trasparenza, il
dibattito, i controlli, nella UE risultano scarsamente sviluppati.
Il Parlamento Europeo
appare dunque più dei parlamenti nazionali minacciato dalle tendenze alla
deparlamentarizzazione descritte all’inizio.
La UE non dispone di risorse sufficienti per una
autolegittimazione: essa continuerà a dipendere per lungo tempo dalla legittimazione che gli
Stati membri le attribuiscono.
Una sua piena parlamentarizzazione, però, taglierebbe fuori
proprio questi ultimi, e pertanto non riveste un interesse da un punto di vista democratico.
Link Originale: Nomos, le attualità nel diritto, 2 - 2015
http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2015/10/Grimm_Nomos-2_2015.pdf