"In Europa ci sono già i presupposti per l'esplosione di un conflitto sociale. Questo è il seme del malcontento, dell'egoismo e della disperazione che la classe politica e la classe dirigente hanno sparso. Questo è terreno fertile per la xenofobia, la violenza, il terrorismo interno, il successo del populismo e dell'estremismo politico."

lunedì 30 agosto 2021

Dalla mascherina al bavaglio? COVID-19, Fake-News e "principio di conformità"

Le asimmetrie dell’Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al COVID-19


Benedetto Ponti 8 Aprile 2020

Intervento già pubblicato in lacostituzione.info

È  notizia di questi ultimi giorni che tra le misure adottate per contenere la diffusione del coronavirus, v’è anche l’istituzione – presso la Presidenza del Consiglio – di una Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al COVID-19, composta di esperti e addetti ai lavori, con il compito di porre rimedio al “pericolo che la diffusione di disinformazione e di contenuti falsi, non dimostrati o fuorvianti, nel perdurare dell’emergenza epidemiologica, possa indebolire le misure di contenimento del contagio ed accentuare la difficoltà della gestione emergenziale disposta in attuazione dei provvedimenti sopra citati”, tenuto conto della “persistente massiva diffusione di disinformazione e fake news relativamente al COVID-19, in particolar modo sul web e sui social network”.

Già la circostanza che il provvedimento in questione abbia riproposto la nozione di “fake news” appare poco commendevole, dal momento che già due anni fa il gruppo di esperti chiamati dalla Commissione a supportare l’elaborazione di quella che sarebbe divenuta la strategia dell’Unione per il contrasto alla disinformazione, aveva suggerito di scartare tale nozione, perché ambigua, disomogenea nei contenuti e idonea pertanto a comprimere in modo indiscriminato diversificate e legittime forme di espressione del pensiero (quali, ad esempio, la satira o la parodia). Per altro, appare  singolare che una misura che prevede (addirittura!) la “ricognizione e classificazione dei contenuti falsi, non dimostrati o fuorvianti, creati o condivisi con riferimento al COVID-19” al fine di contrastarne la diffusione (e, pertanto, idonea a limitare la libertà di manifestazione del pensiero), sia adottata con un atto amministrativo (e non con un atto di rango legislativo) sebbene ciò stia emergendo oramai come la prassi prevalente, nell’affrontare l’attuale, eccezionale congiuntura pandemica.

Ma in disparte da questi profili (pure interessanti, anzi centrali), vorremmo attirare l’attenzione su due ulteriori aspetti di questa operazione, che destano altrettanta (se non, maggiore) preoccupazione, e che si manifestano come altrettante asimmetrie nell’apparato regolatorio così prefigurato.

La prima asimmetria è quella relativa alle due tipologie di misure, previste nel decreto, volte a “bonificare” i flussi informativi relativi al Covid-19, così da “orientare correttamente i comportamenti dei cittadini”. Una prima misura, infatti, consiste nel definire strategie (da sviluppare anche in collaborazione “con i diversi soggetti del web specializzati in fact checking e con i principali motori di ricerca e piattaforme social”) utili per contenere/contrastare la diffusione di contenuti “falsi, non dimostrati o fuorvianti“. Dunque, l’enfasi (negativa) è calibrata su elementi caratteristici predicati con riguardo alla dimensione oggettiva delle informazioni veicolate nel web e sui social (false, non dimostrate, fuorvianti): sono appunto tali caratteristiche a rendere “pericolosa” la fruizione di tali contenuti.

Accanto a questa misura in negativo (e che possiamo a buon diritto ascrivere ai modi della censura), ve n’è un’altra, che potremmo definire complementare, e che si gioca invece in positivo. Essa consiste nella “definizione di opportune modalità idonee a potenziare e rendere più visibile ed accessibile l’informazione generata dalle fonti istituzionali, anche attraverso un migliore posizionamento sui motori di ricerca e sui social media”. Qui non si tratta di censurare, ma invece – al contrario – di promuovere la fruizione dell’informazione. E tuttavia, e qui sta l’asimmetria, i contenuti da promuovere non sono identificati alla stregua di un parametro omogeneo, ma di segno opposto a quello assunto nella misura adottata in negativo. I contenuti da promuovere, in altri termini, non sono quelli (classificati come) “veri, dimostrati, non fuorvianti”; il criterio, invece, è di carattere eminentemente soggettivo, poiché attiene unicamente alla provenienza dei contenuti, quelli “generati dalle fonti istituzionali”.

In questa asimmetria tra ciò che va contrastato e ciò che merita di essere promosso si sviluppa un potenziale cortocircuito, che potremmo sintetizzare nei termini che seguono. Per un verso, tale asimmetria potrebbe stare ad indicare che viene assunta come “scontata” ed “automatica” la perfetta co-estensione e coincidenza tra la provenienza soggettiva dell’informazione (quella “generata da fonti istituzionali”) e le caratteristiche oggettive dei relativi contenuti (ossia: “veri, dimostrati, che mettono sulla retta via”). Secondo una differente lettura, invece, l’asimmetria starebbe invece ad indicare una relazione di indifferenza: a contare sarebbe solo la fonte di provenienza (pubblica), in modo indifferente da come questa si connoti con riferimento ai caratteri dei contenuti generati e diffusi. Entrambe le soluzioni sollevano problemi rilevantissimi, e gettano quindi una cattiva ombra sulla modalità di declinazione di queste misure.

La seconda asimmetria che si intende segnalare è quella per cui le misure di contrasto alla diffusione delle “fake news” riguardano in modo precipuo ed esclusivo l’ambiente informativo abilitato dal web e dai social network. Una soluzione che risulterebbe simmetrica solo ove fosse possibile argomentare (in modo convincente) che il problema della diffusione di fake news (rectius, di contenuti “falsi, non dimostrati o fuorvianti”) riguarda esclusivamente tali media, e non anche quelli tradizionali, ossia i media mainstream. Poiché è fin troppo facile portare esempi in senso contrario (vi sono saggi corposi, in questo senso) – anche con riferimento specifico ai contenuti diffusi in relazione alla pandemia Covid-19 (un virologo il 10 febbraio scorso affermava sulla TV pubblica che “in Italia il virus non c’è; le indicazioni circa l’appropriatezza dell’uso delle mascherine da parte della generalità della popolazione, formulate dall’OMS, sono mutate radicalmente di segno nel giro di poche settimane; la campagna di spot inizialmente promossa dal Ministero della salute assicurava “che non è affatto facile il contagio) – l’asimmetria della misura approntata è invece evidente, e porta fatalmente ad interrogarsi circa le sue effettive, non dichiarate, motivazioni, dal momento che la limitazione della libertà di informazione così operata (in termini asimmetrici) non appare adeguata rispetto alla finalità dichiarata (contenere la diffusione di fake news).

Siamo tutti consapevoli che una comunicazione istituzionale credibile ed efficace costituisce un tassello importante di una strategia complessa e delicata come quella necessaria per fare fronte ad una emergenza senza precedenti come quella innescata dalla diffusione del Covid-19. Non siamo affatto convinti, invece, che la elisione del dibattito pubblico, liberto ed aperto, in particolare quello abilitato dal web e dai social network, sia la strada più opportuna per raggiungere (o mantenere) questo obiettivo. E, certamente, si tratta di un percorso che si sviluppa lontano dal sentiero tracciato dalla carta costituzionale.

Benedetto Ponti, presidente di a/simmetrie, Università di Perugia.

 

 

Link originale: https://asimmetrie.org/interventi/opinions/le-asimmetrie-dellunita-anti-fake-news-covid-19-benedetto-ponti/

martedì 24 agosto 2021

Apple apre una backdoor nella tua vita privata per "pensare diversamente" alla crittografia

Apple's Plan to "Think Different" About Encryption Opens a Backdoor to Your Private Life

EFF, BY INDIA MCKINNEY AND ERICA PORTNOY

AUGUST 5, 2021





Apple has announced impending changes to its operating systems that include new “protections for children” features in iCloud and iMessage. If you’ve spent any time following the Crypto Wars, you know what this means: Apple is planning to build a backdoor into its data storage system and its messaging system.

Child exploitation is a serious problem, and Apple isn't the first tech company to bend its privacy-protective stance in an attempt to combat it. But that choice will come at a high price for overall user privacy. Apple can explain at length how its technical implementation will preserve privacy and security in its proposed backdoor, but at the end of the day, even a thoroughly documented, carefully thought-out, and narrowly-scoped backdoor is still a backdoor.

To say that we are disappointed by Apple’s plans is an understatement. Apple has historically been a champion of end-to-end encryption, for all of the same reasons that EFF has articulated time and time again. Apple’s compromise on end-to-end encryption may appease government agencies in the U.S. and abroad, but it is a shocking about-face for users who have relied on the company’s leadership in privacy and security.

There are two main features that the company is planning to install in every Apple device. One is a scanning feature that will scan all photos as they get uploaded into iCloud Photos to see if they match a photo in the database of known child sexual abuse material (CSAM) maintained by the National Center for Missing & Exploited Children (NCMEC). The other feature scans all iMessage images sent or received by child accounts—that is, accounts designated as owned by a minor—for sexually explicit material, and if the child is young enough, notifies the parent when these images are sent or received. This feature can be turned on or off by parents.

When Apple releases these “client-side scanning” functionalities, users of iCloud Photos, child users of iMessage, and anyone who talks to a minor through iMessage will have to carefully consider their privacy and security priorities in light of the changes, and possibly be unable to safely use what until this development is one of the preeminent encrypted messengers.

Apple Is Opening the Door to Broader Abuses

We’ve said it before, and we’ll say it again now: it’s impossible to build a client-side scanning system that can only be used for sexually explicit images sent or received by children. As a consequence, even a well-intentioned effort to build such a system will break key promises of the messenger’s encryption itself and open the door to broader abuses.

All it would take to widen the narrow backdoor that Apple is building is an expansion of the machine learning parameters to look for additional types of content, or a tweak of the configuration flags to scan, not just children’s, but anyone’s accounts. That’s not a slippery slope; that’s a fully built system just waiting for external pressure to make the slightest change. Take the example of India, where recently passed rules include dangerous requirements for platforms to identify the origins of messages and pre-screen content. New laws in Ethiopia requiring content takedowns of “misinformation” in 24 hours may apply to messaging services. And many other countries—often those with authoritarian governments—have passed similar laws. Apple’s changes would enable such screening, takedown, and reporting in its end-to-end messaging. The abuse cases are easy to imagine: governments that outlaw homosexuality might require the classifier to be trained to restrict apparent LGBTQ+ content, or an authoritarian regime might demand the classifier be able to spot popular satirical images or protest flyers.

We’ve already seen this mission creep in action. One of the technologies originally built to scan and hash child sexual abuse imagery has been repurposed to create a database of “terrorist” content that companies can contribute to and access for the purpose of banning such content. The database, managed by the Global Internet Forum to Counter Terrorism (GIFCT), is troublingly without external oversight, despite calls from civil society. While it’s therefore impossible to know whether the database has overreached, we do know that platforms regularly flag critical content as “terrorism,” including documentation of violence and repression, counterspeech, art, and satire.

Image Scanning on iCloud Photos: A Decrease in Privacy

Apple’s plan for scanning photos that get uploaded into iCloud Photos is similar in some ways to Microsoft’s PhotoDNA. The main product difference is that Apple’s scanning will happen on-device. The (unauditable) database of processed CSAM images will be distributed in the operating system (OS), the processed images transformed so that users cannot see what the image is, and matching done on those transformed images using private set intersection where the device will not know whether a match has been found. This means that when the features are rolled out, a version of the NCMEC CSAM database will be uploaded onto every single iPhone. The result of the matching will be sent up to Apple, but Apple can only tell that matches were found once a sufficient number of photos have matched a preset threshold.

Once a certain number of photos are detected, the photos in question will be sent to human reviewers within Apple, who determine that the photos are in fact part of the CSAM database. If confirmed by the human reviewer, those photos will be sent to NCMEC, and the user’s account disabled. Again, the bottom line here is that whatever privacy and security aspects are in the technical details, all photos uploaded to iCloud will be scanned.

Make no mistake: this is a decrease in privacy for all iCloud Photos users, not an improvement.

Currently, although Apple holds the keys to view Photos stored in iCloud Photos, it does not scan these images. Civil liberties organizations have asked the company to remove its ability to do so. But Apple is choosing the opposite approach and giving itself more knowledge of users’ content.

Machine Learning and Parental Notifications in iMessage: A Shift Away From Strong Encryption

Apple’s second main new feature is two kinds of notifications based on scanning photos sent or received by iMessage. To implement these notifications, Apple will be rolling out an on-device machine learning classifier designed to detect “sexually explicit images.” According to Apple, these features will be limited (at launch) to U.S. users under 18 who have been enrolled in a Family Account. In these new processes, if an account held by a child under 13 wishes to send an image that the on-device machine learning classifier determines is a sexually explicit image, a notification will pop up, telling the under-13 child that their parent will be notified of this content. If the under-13 child still chooses to send the content, they have to accept that the “parent” will be notified, and the image will be irrevocably saved to the parental controls section of their phone for the parent to view later. For users between the ages of 13 and 17, a similar warning notification will pop up, though without the parental notification.

Similarly, if the under-13 child receives an image that iMessage deems to be “sexually explicit”, before being allowed to view the photo, a notification will pop up that tells the under-13 child that their parent will be notified that they are receiving a sexually explicit image. Again, if the under-13 user accepts the image, the parent is notified and the image is saved to the phone. Users between 13 and 17 years old will similarly receive a warning notification, but a notification about this action will not be sent to their parent’s device.

This means that if—for instance—a minor using an iPhone without these features turned on sends a photo to another minor who does have the features enabled, they do not receive a notification that iMessage considers their image to be “explicit” or that the recipient’s parent will be notified. The recipient’s parents will be informed of the content without the sender consenting to their involvement. Additionally, once sent or received, the “sexually explicit image” cannot be deleted from the under-13 user’s device.

Whether sending or receiving such content, the under-13 user has the option to decline without the parent being notified. Nevertheless, these notifications give the sense that Apple is watching over the user’s shoulder—and in the case of under-13s, that’s essentially what Apple has given parents the ability to do.

It is also important to note that Apple has chosen to use the notoriously difficult-to-audit technology of machine learning classifiers to determine what constitutes a sexually explicit image. We know from years of documentation and research that machine-learning technologies, used without human oversight, have a habit of wrongfully classifying content, including supposedly “sexually explicit” content. When blogging platform Tumblr instituted a filter for sexual content in 2018, it famously caught all sorts of other imagery in the net, including pictures of Pomeranian puppies, selfies of fully-clothed individuals, and more. Facebook’s attempts to police nudity have resulted in the removal of pictures of famous statues such as Copenhagen’s Little Mermaid. These filters have a history of chilling expression, and there’s plenty of reason to believe that Apple’s will do the same.

Since the detection of a “sexually explicit image” will be using on-device machine learning to scan the contents of messages, Apple will no longer be able to honestly call iMessage “end-to-end encrypted.” Apple and its proponents may argue that scanning before or after a message is encrypted or decrypted keeps the “end-to-end” promise intact, but that would be semantic maneuvering to cover up a tectonic shift in the company’s stance toward strong encryption.

Whatever Apple Calls It, It’s No Longer Secure Messaging

As a reminder, a secure messaging system is a system where no one but the user and their intended recipients can read the messages or otherwise analyze their contents to infer what they are talking about. Despite messages passing through a server, an end-to-end encrypted message will not allow the server to know the contents of a message. When that same server has a channel for revealing information about the contents of a significant portion of messages, that’s not end-to-end encryption. In this case, while Apple will never see the images sent or received by the user, it has still created the classifier that scans the images that would provide the notifications to the parent. Therefore, it would now be possible for Apple to add new training data to the classifier sent to users’ devices or send notifications to a wider audience, easily censoring and chilling speech.

But even without such expansions, this system will give parents who do not have the best interests of their children in mind one more way to monitor and control them, limiting the internet’s potential for expanding the world of those whose lives would otherwise be restricted. And because family sharing plans may be organized by abusive partners, it's not a stretch to imagine using this feature as a form of stalkerware.

People have the right to communicate privately without backdoors or censorship, including when those people are minors. Apple should make the right decision: keep these backdoors off of users’ devices.


Link originale: https://www.eff.org/deeplinks/2021/08/apples-plan-think-different-about-encryption-opens-backdoor-your-private-life

lunedì 9 agosto 2021

Greenpass: il rischio imposto di uno strumento di controllo e tracciamento

 L’impatto della vaccinazione di massa: scommessa al buio?


L’attuale fase dell’emergenza Covid rischia di trasformarsi in una sorta di “guerra civile” tra fronti contrapposti rappresentati strumentalmente come “pro vax” e “no vax”.

Termini troppo semplicistici per indicare la posta in gioco e le diverse valutazioni e sensibilità su temi delicati quali l’impatto delle somministrazioni di massa di vaccini sperimentali, messi a punto in pochi mesi invece dei diversi anni necessari per testare effetti indesiderati anche gravi a breve, medio e lungo termine. O le implicazioni di strumenti quali il Green Pass.

Il tema di fondo di questo confronto appare troppo rilevante per venire liquidato in termini di tifoserie, con un’egemonia da “pensiero unico” e discriminazioni della “dissidenza”, anche perchè investe, oltre alla salute, molti dei valori, diritti e libertà sui quali si fonda la nostra società.

Un tema che riguarda direttamente anche la sicurezza nazionale e il futuro dell’Italia e dell’Occidente ed è paradossale che nessuno sembri occuparsene, specie in un contesto in cui propaganda (o se preferite Info Ops e Psy Ops) sembrano avere il sopravvento in gran parte del panorama politico e mediatico, non solo in Italia.


Rischio calcolato o incalcolabile?

Strano che non si prendano in esame i rischi potenziali insiti nell’inoculazione di massa di vaccini, sviluppati in emergenza e utilizzabili solo in tale condizione, dei quali nessuno, neppure le aziende produttrici, conoscono gli effetti indesiderati che si potrebbero manifestare in futuro nè  si assumono responsabilità in proposito.

Quelli a brevissimo termine cominciano a essere molti e non certo simpatici ma se tra 3, 5 o 10 anni dovessero emergere complicazioni gravi e inabilitanti in percentuali significative delle popolazioni vaccinate l’impatto sanitario, sociale ed economico potrebbe risultare di dimensioni mai viste e forse ingestibile.


Proviamo a immaginare se in Italia la popolazione vaccinata (ipotizziamo il 90%, cioè 54 milioni di persone) registrasse tra alcuni anni effetti indesiderati gravemente inabilitanti anche solo nel 10% delle persone che hanno ricevuto il vaccino, anche in più dosi.

Avremmo 5,4 milioni di persone da assistere in più a quelle già esistenti per altre cause: 11 milioni in più nel caso di gravi sintomi nel 20% dei vaccinati. Un numero insostenibile anche per nazioni ricche e sviluppate, che determinerebbe conseguenze gravissime anche sul piano economico, demografico e dell’ordine pubblico che colpirebbero a morte l’intero Occidente.

Inoltre non è secondario valutare che le categorie a cui il vaccino è stato di fatto quasi imposto sono di valenza strategica per la tenuta di ogni nazione: militari, forze dell’ordine, personale scolastico e sanitari, con questi ultimi peraltro già in buona parte colpiti e guariti dal virus.

A questo proposito non è banale chiedersi quale impatto strategico avrebbero simili conseguenze a medio e lungo termine in una nazione sempre in “prima linea” contro i suoi nemici come Israele, in testa a tutte le classifiche di somministrazione di vaccini.

Pur tralasciando teorie complottiste non si può non notare che il tema dei rischi potenziali legati alle conseguenze accidentali e indesiderate delle inoculazioni di massa di vaccini non sperimentati per il tempo solitamente necessario non venga neppure preso in considerazione nel dibattito politico e mediatico.

Non si tratta di negare il significato o il valore di tali vaccini ma di porsi almeno qualche domanda circa il rischio che ciò che oggi appare una risposta (l’unica?) al Covid possa domani rivelarsi un problema ben più grave della malattia che ha cercato di ostacolare.


Molti osservatori, forse esagerando, hanno paragonato l’epidemia di Covid a una guerra, contesto in cui mettere a punto piani e ipotizzare scenari valutando tutte le opzioni, incluse quelle peggiori, dovrebbe essere imperativo.

Un eventuale e auspicabile dibattito su tali rischi potrebbe indurre a valutare opzioni più caute, idonee a ridurre i potenziali rischi.

Come quella di puntare decisamente su cure (che pure esistono ma tardano a venire omologate) e assistenza a domicilio dei malati per non rischiare più di intasare gli ospedali, incoraggiando la vaccinazione solo dei cittadini più anziani e fragili maggiormente esposti agli effetti del Covid, preservando al tempo stesso da rischi a medio e lungo termine giovanissimi, giovani e adulti.

I motivi utili ad alimentare un dibattito sulla sicurezza nazionale certo non mancano. L’assenza di test prolungati negli anni impedisce di fare ipotesi sugli effetti indesiderati nel tempo ricade oggi direttamente sui cittadini mentre la discutibile assenza di vaccini “made in Italy” impone di fare affidamento su prodotti stranieri.

Aspetto quest’ultimo che non è mai positivo quando si tratta di temi fondamentali per la sicurezza della Nazione (che si parli di sistemi d’arma, di strumenti di cyber security o di sicurezza sanitaria) e che meriterebbe anch’esso un ampio dibattito finora inesistente o superficiale.

 

Dubbi leciti

Del resto le grandi aziende farmaceutiche che producono i vaccini si sono cautelate da ogni rischio di risarcimento come dimostrano i contratti segretati (con ampie parti oscurate nelle copie mostrate ad alcuni europarlamentari) siglati con l’Unione Europea e i singoli stati o le numerose firme che ogni cittadino deve apporre per sollevare tutti da ogni responsabilità per gli effetti collaterali del vaccino che gli stanno inoculando.

Sappiamo che questi vaccini non rendono immuni dal Covid, non impediscono di contagiarsi e contagiare ma vengono distribuiti, proposti e imposti, direttamente o indirettamente, con crescente facilità a tutti e spesso senza accurate verifiche preliminari, neppure per verificare con un test sierologico la presenza degli anticorpi del Covid.

Il virus è circolato tra gli equipaggi del Carrier Strike Group britannico incentrato sulla portaerei Queen Elizabeth in missione in giro per il mondo fino a maggio: eppure gli equipaggi, composti interamente da militari con doppia vaccinazione, sono rimasti isolati da contatti col mondo esterno.

I recenti dati provenienti da USA e Israele confermano che i colpiti, inclusi ricoverati e deceduti, si registrano anche in percentuali significative tra i vaccinati ma ciò nonostante la pressione per indurre tutti a vaccinarsi sta diventando sempre più intensa ed estesa nonostante sia ormai imminente l’omologazione in Europa di cure specifiche.

All’ospedale Herzog di Gerusalemme il 95% dei pazienti gravi è vaccinato con doppia dose come l’85/90 per cento dei ricoverati, ha riferito all’emittente Canale 13 il dottor Kobi Haviv direttore generale dell’ospedale.

Anche in Israele i numeri di decessi e ricoverati gravi restano bassi ma se, lù come in Italia, sono sufficienti a varare misure restrittive dovrebbero anche indurre a interrogarsi sull’efficacia dei vaccini, almeno per le persone meno anziane.

In base a questi e altri elementi non c’è bisogno di essere complottisti per trovare difficile credere che il business sanitario non abbia un’influenza determinante sulle strategie adottate dagli stati e imposte ai cittadini.

Anche i litigi tra virologi e scienziati, ormai vere “primedonne” televisive, alimentano la confusione e inducono a nutrire dubbi, specie quando si notano repentini cambi d’opinione, magari in seguito a promozioni o incarichi di prestigio.

Certo è incoraggiante sentir dire che i vaccini riducono gli effetti gravi diminuendo i casi di ricovero e decesso ma sostenere questo confrontando in Italia i dati sull’ospedalizzazione di marzo con quelli di luglio non induce a un eccessivo ottimismo per il naturale degrado del virus dovuto alla stagione estiva. Anche nell’estate 2020, in assenza di vaccini, tali indici erano fortunatamente ridotti ai minimi termini, ma sono poi rapidamente risaliti in autunno.

I dati dell’Istituto superiore di Sanità ci dicono che da febbraio al 27 luglio il 99 per cento dei morti per Covid non erano vaccinati o avevano ricevuto una sola dose. Ma non poteva che essere così se si considera che in Italia le vaccinazioni dei più anziani hanno preso il via a febbraio e che solo ad aprile i vaccini sono stati distribuiti in numeri adeguati: di fatto quando nei mesi invernali e primaverili i decessi e i ricoveri erano maggiori i vaccini non c’erano o erano stati da poco resi disponibili.

Del resto l’OMS aveva sconsigliato vaccinazioni di massa durante l’epidemia perché avrebbero favorito la comparsa di varianti, oggi a quanto pare più diffuse proprio nelle nazioni a più alto tasso di vaccinazioni.

Probabilmente solo in autunno e inverno potremo sapere se i vaccini inoculati in massa a italiani, europei statunitensi costituiscono un’arma risolutiva o meno (si parla già una terza dose….) quanto meno riducendo i ricoveri e i decessi, mentre ci vorrà qualche anno per sapere se avremo scongiurato il rischio di gravi effetti indesiderati su vasta scala.

 

Discriminare per persuadere?

Per essere efficace la comunicazione istituzionale deve essere il più possibile trasparente e credibile ma nella vicenda  del Covid, dei vaccini sperimentali e del Green Pass l’impressione è che la trasparenza sia stata affondata fin da subito e non solo dai “misteri cinesi” (in Italia dal “siamo prontissimi” di Giuseppe Conte, dalle mascherine acquistate a peso d’oro che non proteggevano dal virus distribuite ai sanitari, dai verbali segretati del Comitato tecnico-scientifico, dai contratti segretati con le aziende farmaceutiche e la lista sarebbe ancora lunghissima…….).

L’informazione politica e mediatica si limita quasi sempre a fornire slogan sempre più incentrati sulla contrapposizione sociale e la demonizzazione di alcune categorie animati da una evidente frenesia a vaccinare tutti subito.


Anche se non immunizzano e non garantiscono da malattia, ricovero e contagio di altre persone, si punta a inoculare vaccini sperimentali a tutti (anche ai bambini cominciano a dire al CTS ) …e chi obietta o pone dubbi viene etichettato come “no vax” che equivale a ignorante, “terrapiattista” e diffusore di fake news o addirittura pazzo.

Una linea che rischia di cozzare con i diritti costituzionali e alcune norme del diritto internazionale oltre che con il pluralismo delle idee che sarebbe auspicabile continuasse a caratterizzare la nostra società.

Anche perché la gran parte delle persone scettiche sui vaccini sperimentali non sono convinte che la Terra sia piatta ma più probabilmente vedono nell’autoritarismo vaccinale e nella discriminazione crescente un motivo di ulteriore perplessità e scetticismo, specie in un contesto in cui morti e ricoverati restano numericamente così pochi da indurre a chiedersi se il bollettino quotidiano sul Covid (oltre alle tantissime ore di tg e talk show dedicate a questo tema) non abbia in realtà solo il compito di mantenere elevato il terrore presso l’opinione pubblica.

Siccome in ballo non c’è solo la nostra salute ma, intorno ad essa, anche un gigantesco giro d’affari e forse il futuro della nostra e di altre nazioni, siamo sicuri che se istituzioni e media dedicassero bollettini quotidiani per informarci su quanti muoiono ogni giorno per incidenti stradali, o per infarti e tumori o per infezioni contratte in ospedale (quasi 50mila decessi nel 2019) la nostra percezione del rischio Covid sarebbe la stessa?

Pur senza gridare al regime è meglio porre molta attenzione a questi aspetti legati agli effetti della propaganda e del bombardamento mediatico perché di lotta alle fake news si occupa anche una recente legge cinese che mira a far tacere i dissidenti mentre di persone definite “pazze” per le loro idee erano pieni i manicomi in Unione Sovietica, Cina e altri “paradisi comunisti”.

Vale la pena sottolineare che ogni discriminazione tra i cittadini dovrebbe essere accuratamente evitata anche nel rispetto delle recenti indicazioni dell’Unione Europea.


Il 15 giugno scorso Commissione e Parlamento europeo hanno affermato con chiarezza che “è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, anche di quelle che hanno scelto di non essere vaccinate”, come si legge su EUR-Lex.

Di fronte a quanto sta accadendo è difficile non chiedersi perché l’Italia sia stata “riaperta” in giugno quando morti e ricoverati erano ancora numerosi e poi, a inizio agosto, si pongano limitazioni ampiamente anticipate dai media che stanno determinando gravi danni economici e ripercussioni sociali pur con obitori e terapie intensive vuote.

Impossibile non domandarsi perché uno stato pronto a limitare la libertà dei suoi cittadini nel nome della lotta al Covid continui, nonostante lo stato d’emergenza, a tenere spalancate porte e porti a decine di migliaia di clandestini (31 mila sbarcati da inizio anno) provenienti da paesi in cui il virus dilaga e che, benchè positivi, tendono a fuggire alla prima occasione dai centri d’accoglienza che li ospitano.

Impossibile non notare la contraddizione di un Green Pass obbligatorio sui treni ad alta velocità con posti prenotati e impianti di areazione anti-virus ma non sugli affollati trasporti locali, già emersi come fenomenali veicoli di contagio, adducendo come giustificazione l’impossibilità di effettuare controlli.

La mancanza di risposte credibili delle istituzioni a queste domande e il ricorso all’autoritarismo (che spesso mal  rimpiazza la carenza di autorevolezza) genera inevitabilmente sfiducia nelle istituzioni e scollamento sociale.

Che dire poi della disposizione, vergognosa per uno stato di diritto,  di lasciare le scuole libere dall’uso della mascherina ma solo se in classe sono tutti vaccinati, violando così la privacy dei ragazzi ed esponendo i non vaccinati  al rischio di emarginazioni o perfino atti di bullismo.

Un metodo “cambogiano”, ricordando come i khmer rossi indottrinassero gli studenti per indurli a denunciare i genitori che tra le mura domestiche criticavano il regime, che sembra puntare a indurre il ragazzo a premere sui genitori per farsi vaccinare ed essere così accettato dal gruppo.

Una orribile speculazione su bambini e adolescenti, già provati dalle conseguenze dell’epidemia e ora messi l’uno contro l’altro. Resa ancora più grave dall’assenza di informazioni circa effetti indesiderati futuri dei vaccini.

Forse è esagerato evocare Pol Pot ma di certo non lo è chiedersi dove siano finite le associazioni per i diritti civili e dell’infanzia, Save the Children, professori, presidi, pedagogisti, psicologhi, pediatri e sociologi. Tutti in vacanza?

Una norma esclusivamente coercitiva e discriminatoria nei confronti di una minoranza, norma che tra l’altro favorirà la diffusione dei contagi considerato che anche i vaccinati contagiano e si ammalano e soprattutto che l’uso della mascherina è obbligatorio in tutti gli ambienti chiusi e persino sui mezzi di trasporto e che in nazioni quali Germania e Gran Bretagna vaccinare i  minori è considerato pericoloso e non necessario come riportano anche dalle ricerche indicate dalle due mozioni depositate in giugno al Senato dalla Lega e da Fratelli d’Italia.

 

Green Pass e Psy Ops

Anche l’adozione del Green Pass sta sollevando interrogativi benchè ormai le stesse istituzioni ammettano che si tratta di uno strumento teso a incoraggiare le vaccinazioni rendendo la vita più difficile ai non vaccinati, che hanno come alternativa un tampone ogni 48 ore. Il tutto evidentemente in antitesi a quanto stabilito dall’Unione Europea.

Il Green Pass, come il prolungato bombardamento mediatico, sembra quindi rappresentare uno strumento idoneo alle operazioni psicologiche, branca militare tesa a influenzare percezioni e comportamenti dell’opinione pubblica (ma di solito quella del nemico….).

Concepito come strumento per consentire in relativa sicurezza i viaggi all’estero, viene oggi imposto agli italiani con la motivazione di contrastare la diffusione del Covid e quindi di “mantenerci liberi”.

Difficile però non notare che il Green Pass consente ai vaccinati, che possono comunque contrarre il virus, di essere “liberi” di contagiare anche senza esserne consapevoli e in ogni caso senza bisogno di sottoporsi a tamponi.

Così si premia con una maggiore libertà il vaccinato (discriminando il non vaccinato), ma si rischia di favorire la diffusione del Covid quando per contrastarla avrebbe un significato sanitario più rilevante legare il Green Pass a tamponi effettuati ogni pochi giorni.

Per ottenere questo risultato sarebbe in realtà sufficiente la certificazione rilasciata a tampone effettuato. Inoltre i tamponi, pur subendo una annunciata riduzione di prezzo, non verranno resi gratuiti proprio per non favorire l’alternativa alle vaccinazioni.

Di fatto si scoraggia uno strumento che consentirebbe una riduzione del rischio di circolazione del virus (i tamponi) per incoraggiare il ricorso a un altro strumento (i vaccini) che permetterà un più ampio e inconsapevole rischio di contagi e il cui prezzo sta “stranamente” aumentando nonostante la produzione di massa.

Non è un caso che in molte nazioni, come Francia e Spagna, l’accesso al confine venga consentito solo dopo un tampone, anche se si è vaccinati con doppia dose mentre il tampone è stato chiesto anche ai giornalisti, tutti vaccinati, che volevano partecipare alla conferenza stampa in cui Mario Draghi ha annunciato le restrizioni legate al Green Pass.

Le regole di Palazzo Chigi sembrano quindi smentire le affermazioni “imprecise” dello stesso presidente del Consiglio, che nessun grande media ha ritenuto di evidenziare ma che qualcuno ha bollato come fake news, soprattutto quando ha sostenuto che col Green Pass potremo stare insieme ad altre persone senza il rischio di contagio e che l’invito a non vaccinarsi è un invito a morire quando in Italia sono oltre 4,2 milioni i guariti dal Covid.

 

Strumento di controllo di massa?

Se il primo obiettivo del Green Pass è complicare la vita a cittadini e categorie di lavoratori per indurre tutti ad accettare il vaccino, appare chiaro che tale strumento è idoneo a complicarla in modo progressivo, aumentando il numero di luoghi, mezzi di trasporto, locali, iniziative a attività dove verrà richiesto per accedere.

Uno strumento persuasivo/coercitivo quindi, non sanitario. In secondo luogo può venire considerato, nella forma “blanda” adottata dal 6 agosto, come un test, effettuabile solo grazie al perdurare dello stato d’emergenza, per verificare la disponibilità popolare a subire forme di controllo, punitive e discriminatorie, che si aggiungono alle limitazioni dei diritti fondamentali e delle libertà più elementari già testati con il lockdown.

Limitazioni rese “digeribili” dall’emergenza Covid cercando di “cementare” il consenso con la “caccia agli untori” alimentata dalle istituzioni e amplificata in modo supino e acritico dalla quasi totalità dei media: ieri il runner o il canoista che si allenavano da soli su spiagge desolate o in mezzo al mare, oggi chi non intende vaccinarsi o esprime dubbi in proposito.

C’è poi un ulteriore aspetto che non va sottovalutato. Con il “lasciapassare verde”, forniremo potenzialmente una gran mole d’informazioni su tutto quello che facciamo, i luoghi e indirettamente (o con controlli incrociati) le persone che frequentiamo oltre che sui nostri consumi e gusti, gli spettacoli a cui assistiamo, i negozi in cui facciamo acquisti, i mezzi di trasporto che utilizziamo.

E’ vero che molte di queste informazioni già le forniamo grazie a social media, carte di credito, bancomat, telepass, carte fedeltà o altro ma in questi casi lo facciamo volontariamente, non per imposizione dello stato.

Il rischio concreto quindi è che il Green Pass possa costituire uno strumento idoneo a consentire un ampio controllo sociale basato sul tracciamento accurato degli spostamenti, dello stile di vita e dei consumi dei cittadini che potenzialmente potrebbero venire influenzati o indirizzati da questo strumento.

Solo per fare un esempio: quanto influirebbe l’imposizione del Green Pass per accedere a negozi e centri commerciali sulla nostra disponibilità ad aumentare gli acquisti on line?

La messe di dati ottenibili dall’impiego su vasta scala del Green Pass risulta infatti facilmente incrementabile aumentando il numero di luoghi e servizi accessibili solo con il suo possesso: oltre a quelli già elencati anche fiere, convegni, convention politiche, treni, aerei, scuole o luoghi di lavoro, svago, vacanze.

Dati sul cui eventuale utilizzo a fini commerciali o di profilazione sociale, economica e politica non avremo alcun modo di ottenere garanzie né verifiche mentre sistemi informatici e banche dati istituzionali in cui inevitabilmente verrebbero immagazzinati i nostri dati si stanno rivelando ogni giorno più vulnerabili ad attacchi hacker provenienti anche dall’estero.

L’impressione è quindi che temi di portata così rilevante per il nostro futuro meritino un ampio dibattito degno di una grande nazione democratica, indispensabile a scongiurare ogni deriva autoritaria e ad assicurare che non vengano calpestati quei diritti e libertà individuali che a lungo hanno consentito di definire l’Occidente il “mondo libero”.

@GianandreaGaian 


Link originale: https://www.analisidifesa.it/2021/08/limpatto-delle-vaccinazioni-di-massa-scommessa-al-buio/


sabato 7 agosto 2021

Tecnologie di sorveglianza "Smart City": il Senato americano investe 500 milioni di dollari per monitorare i propri cittadini?

Senate Infrastructure Bill Would Invest $500 Million in “Smart City” Surveillance Technology

Privacy advocates caution against giving the government another tool to monitor its citizens.

 


 

The Intercept, Sara Sirota, August 6 2021, 10:03 p.m.

 

Buried in the Senate’s bipartisan infrastructure bill is a grant program that would distribute $500 million to cities to experiment with sensors, autonomous vehicles, drones, and other technologies intended to improve urban living standards.

Under the $1.2 trillion Senate infrastructure bill’s “Strengthening Mobility and Revolutionizing Transportation” initiative, state and urban planners would test how data-gathering devices and new vehicles can improve “transportation efficiency and safety.” The bill’s sponsors are especially interested in reducing traffic, enhancing access to jobs and health care, lowering pollution, and incentivizing private sector investments by working with communication service providers.

But some are worried these technologies will only enable more government surveillance.

“This is a form of surveillance, often involving police, that invades privacy, deters protest in public places, and all-too-often disparately burdens people of color,” said Adam Schwartz, senior staff attorney at the Electronic Frontier Foundation, a digital rights organization. “It is unfortunate that the bipartisan infrastructure bill would invest a half billion federal dollars in these troubling surveillance technologies, without adequate privacy safeguards.”

The infrastructure bill — which is currently stalled amid debate over cryptocurrency regulation — doesn’t mention police involvement, but Chad Marlow, senior policy counsel at the American Civil Liberties Union, said law enforcement often tries to get its hands on data collected by transportation departments. The ACLU has worked with city councils across the country to pass laws ensuring community oversight of new surveillance technology, and Marlow said the new bill must guarantee that governments applying for grants gain the consent of local residents. “It is critically important that we focus in, and center the opinions of, the people who live in those communities to hear what they think,” he said.

The proposal does include some safety mechanisms, such as prohibiting license plate readers, but Schwartz and Marlow agreed the protections don’t go far enough to prevent law and immigration enforcement from accessing collected data. “When you’re talking about transportation data, movement of people, that is information that is very, very hard to de-identify and prevent reidentification,” Schwartz said.

The idea for the grant program borrows from the futuristic “smart city” concept that local governments nationwide and around the world — including in South Bend, Indiana, under the mayorship of Transportation Secretary Pete Buttigieg — have adopted in hopes of revitalizing business, health, and safety in poorer and congested communities. Often cheered on by major technology corporations seeking lucrative contracts, the concept envisions using high-speed networks of shared sensor data, known as the Internet of Things, to help manage the flow of people, commerce, and energy at reduced costs.

Rep. Yvette Clarke of New York, the second most powerful Democrat on the House’s Energy and Commerce Committee, has been a proponent of smart city technology and argued the infrastructure bill actually doesn’t go far enough. Clarke told The Intercept in an email Thursday that while she’s glad the bill would issue grants and create an online resource center to help local governments, “we need a coordinated effort by the entire federal agency apparatus to support the adoption of smart community infrastructure and technologies that will take our communities into the 21st Century.”

In order to accomplish that, Clarke said in the upcoming budget reconciliation process she will advocate for the more robust federal support outlined in the “Smart Cities and Communities Act” she and Rep. Suzan DelBene, D-Wash., introduced in May. Endorsed by the Software Alliance that represents Amazon, Microsoft, Salesforce, and others, the bill would authorize $1.1 billion to aid technology adoption, arguing that American cities are lagging behind local governments around the world, which are poised to spend $41 trillion over the next 20 years.

Clarke and DelBene do propose getting civil liberty organizations involved and preserving data privacy, but they don’t call for prohibitions on specific technologies like license plate readers or curtailing law enforcement access to certain information. “As technology becomes increasingly woven into the fabric of civil society and municipal functions, we must ensure that proper safeguards are in place from the onset to protect our civil liberties,” Clarke said today.

While announcing their bill earlier this year, the two lawmakers pointed to the environmental and health benefits of technologies being implemented across the country, like localized sensors to better predict weather and reduce flash flooding in Seattle or smart street lights to save on energy costs in Spokane. They also noted apparent security benefits, like Boston’s deployment of a “sensor-based gunfire detection system” or Los Angeles’s addition of bike lanes and officers where data showed there were dangerous intersections.

Meanwhile, Los Angeles’s rollout of smart technology has come under close scrutiny from activists. Last year, the EFF and ACLU sued the city’s transportation department for requiring electric scooter rental companies to share riders’ real-time GPS data with government officials. They argued the government could use this location data to identify people and that information could ultimately be shared, stolen, or subpoenaed. The lawsuit followed California’s controversial deployment of license plate readers as well.

Marlow of the ACLU said it could be possible with very strict regulations in place to have cities use smart technologies to improve urban living standards without opening the door to more police surveillance.

More importantly, though, “it really should not be up to the ACLU or Congress or anyone else thinking in a macro sense what is and is not acceptable levels of risk,” he said. “All of that should be placed within the people who live in those communities.”

 

Link originale: https://theintercept.com/2021/08/06/infrastructure-bill-smart-city-surveillance/