"Accadde, finalmente. Il messaggio tanto atteso e sospirato giunse, alla fine. Gli sembrava d’avere atteso davvero tutta la vita quell’avvenimento.”
E’ chiaro che alle spalle di Bargagli ci siano mostri sacri quali George Orwell di “1984”, e Aldous Huxley de “Il mondo nuovo”, non per niente maestro di Orwell. I padri, anche quelli putativi, sono sempre scogli giganteschi ai quali aggrapparsi durante i rovesci, e talvolta tali scogli possono rivelarsi alquanto scivolosi e impervi, ma Bargagli, qua al suo esordio letterario, non si è lasciato intimidire, cimentandosi direttamente con un genere, a nostro avviso, fra i più difficili da padroneggiare: il romanzo distopico.
Più difficile perché? Perché, chi si avventuri in tale impresa, dovrà continuamente fare i conti con le liquide resistenze della contemporaneità; perché dovrà riuscire a restituire al narrato uno spessore tale da aprire, ai lettori, gli occhi sul presente invisibile e sul futuro possibile. Il romanzo di Bargagli è riuscito nell’intento. E ha perfino un altro merito: quello di gettare un ponte ideale fra il Novecento e il Nuovo Millennio. "Uropia" è infatti perfettamente in linea con le tendenze letterarie che si diffusero nell’Europa del primo e del secondo dopoguerra, come conseguenza della crisi dei valori e del profondo senso di pessimismo che colpirono gli intellettuali dell’epoca, e, al contempo, si allinea con le attuali tendenze della narrativa americana ed europea. Si pensi ad esempio a “La strada” di Cormac McCarthy del 2006 o a “Qualcosa là fuori” di Bruno Arpaia del 2016.
Tentando l’iperbole, ma solo per cercare di allocare il libro, per renderne contezza a voi lettori, è come se Bargagli avesse idealmente continuato quel lavoro di “scarnificazione” ed esibizione del complotto, abbandonato, per motivi biologici, da un altro padre del genere: Umberto Eco.
Non si fraintenda: "Uropia" è un romanzo che parla di attualità! Anzi di più, di contemporaneità. È il racconto di un intellettuale contemporaneo alle prese con i problemi di questo ’mostro costretto a mostrarsi’ che è l’Unione europea, un vero e proprio Frankenstein che fatica sempre di più a tenere assieme i lacerti di carne suturati con una sparapunti. Bargagli vuole questo, cerca questo. E la si sente forte e chiara, specie nelle pagine più terrifiche (quelle sul presidente Pordan e le sue sulfuree macchinazioni), la necessità, e l’urgenza, di questa sua ‘nuova’ vocazione letteraria. Perché insistiamo su questo aspetto? Perché quello che troverete, fra le saporite righe di "Uropia", è quello che non sta (ancora) succedendo. Il libro narra infatti quello che succederà, se. In realtà questo ‘se’ è già successo, ampiamente. Bargagli, (e Alberto Bagnai, l'economista eretico, citato come fonte scientifica) vuole questo. Ci dipinge un mondo appena più complesso del nostro, ma utilizzando, per testarne la differenza, una misurazione millimetrica, da attuarsi con la forcella. Chiunque abbia un po’ di senso critico (o voglia averlo!) potrà capirne e goderne appieno le pagine. Pagine che si susseguono con un ritmo dato da una trama solida, che non è inopportuno definire rocambolesca.
Protagonista della vicenda è Massimo Maffei, un pacifico traduttore italiano, nato e cresciuto a Monaco di Baviera, la cui vita sta per essere scossa e percossa da una serie di accadimenti più grandi di lui. Massimo si trova all’improvviso immerso in un mondo che non riconosce più. L’ irenica Unione Europea ha calato la maschera, e da Madre misericordiosa e accudente si è trasformata in una feroce Matrigna, vorace e plutocratica.
Fondamentale nella storia è poi la figura di Andras Pordan, l’enigmatico Presidente della Commissione Europea, artefice della fusione dei trenta stati in un’entità statale continentale.
Nessun commento:
Posta un commento