I
lettori di „Uropia, il protocollo
Maynards“ e in genere i frequentatori di questo Blog saranno abituati alla
raccolta di informazioni, testimonianze ed articoli che rappresentano le basi
tecnologiche, giuridiche ed informatiche sulle quali la distopia del romanzo è
costruita.
Troverete
infatti in questo e nei post precedenti e successivi una collezione di
informazioni direttamente tratte dal web, senza commenti o censure, dalle fonti
originali –errori tipografici compresi!- e con i link relativi.
"Trojan di
Stato, non c’è solo Hacking Team
di Luca Rinaldi,
da Wired, 15.07.2015
Oltre all’azienda italiana, la mappatura di Wikileaks, rivela che il business degli spioni privati è una prerogativa europea, oltre ai francesi di Vupen, ci sono i tedesche DigiTask ed Elaman e gli inglesi di Gamma Group
Non solo Hacking
Team. Il
panorama delle aziende che producono trojan(software in grado di
registrare pressoché tutta l’attività svolta su un computer), e in particolare
trojan di Stato, non è abitato solo dall’azienda milanese, anzi. Stando a
quanto si può verificare dal primo rilascio degli “Spy Files” pubblicati da Wikileaks nel 2011,
sarebbero almeno quattro le società che fanno compagnia alla nostrana Hacking
Team nella produzione di software per spiare computer, conociuti nel giro degi
addetti ai lavori come captatori informatici.
Il dato interessante è che
le magnifiche cinque si trovano tutte in Europa: secondo la
mappatura di Wikileaks producono infatti questo tipo di strumento la stessa
Hacking Team, la francese Vupen, le tedesche DigiTask ed Elaman e l’inglese
Gamma Group.
Sicuramente le cinque non
sono le uniche nel mondo a produrre Trojan, ma lo fanno da privati, rivendendo
poi i loro prodotti. Al contrario «Paesi come come la Cina –
dice a Wired Giovanni Battista Gallus, avvocato del circolo dei giuristi
telematici – producono Trojan a livello governativo ed è
normale che rimangano in ombra perché l’export è vietato anche per questioni di
sicurezza nazionale».
Come si può notare
sfogliando le presentazioni dei software prodotti dalle società specializzate
tutte si pongono come produttori di tecnologia per governi. Chi diluisce il
senso della cosa, chi invece esplicitamente propone “soluzioni per la
sicurezza governativa”. Quest’ultimo è il caso della tedesca Elaman che, in
partnership con una delle altre cinque produttrici di Trojan a livello europeo,
l’inglese Gamma Group, ha uffici dislocati nel Regno Unito, in Germania,
Emirati Arabi Uniti, Singapore, Indonesia e Sud Africa.
Come ha raccontato su Wired Carola Frediani, tra il 2013 e il 2014
l’Italiaavrebbe
acquistato almeno quattro licenze (non contando quelle indicate nei file come
cancellate), sia per target mobili che PC, divise su due diversi clienti: in un
caso per una spesa finale di circa 682mila euro, in un altro per circa 1.120.000 euro.
Anche la francese Vupen è attiva nella collaborazione con le forze
dell’ordine e agenzie di intelligence, non solo francesi. Sempre nel quarto rilascio degli SpyFiles di
Wikileaks è emerso come la società abbia scoperto alcune vulnerabilità sui sistemi operativi Apple e le abbia
fornite alla stessa FinFisher senza rivelarle. La falla dunque, faceva notare Paolo Attivissimo sul suo blog,
non viene corretta neppure nei sistemi degli utenti onesti e innocenti perché non viene resa
pubblica, ma viene al contrario rivelata solo a chi realizza prodotti
di sorveglianza.
Su Forbes il fondatore di Vupen Chaouki Bekrar,
a chi gli faceva notare la scorrettezza delle pratiche rispondeva che «non
lavoriamo duramente per aiutare multimiliardarie società a rendere sicuri i
loro codici. Volessimo fare volontariato, aiuteremmo i senzatetto».
Su questo terreno e sulle ambiguità sia delle singole norme
nazionali, sia dello stesso regolamento europeo si gioca la correttezza o meno
dell’exporte dell’utilizzo dei captatori informatici. Tanto che parte della
vicenda Hacking Team si basa proprio sul fatto che gli strumenti messi a punto
dall’azienda siano considerate o meno un armamento militare. Il leak di HT
mostra, grazie alle mail scambiate sia all’interno dell’azienda, sia con il ministero
dello Sviluppo Economico, che
proprio su questo punto si giocava un pezzo consistente dei progetti di
crescita dell’azienda.
Non a caso all’interno del regolamento stesso trova spazio una
lista che autorizza l’esportazione dei software
prodotti da
Hacking Team e aziende che producono lo stesso prodotto e le aziende devono
attenersi alla lista, salvo specifiche autorizzazioni. «Ed è evidente – spiega
ancora a Wired Giovanni Battista Gallus – che nel caso Hacking Team, queste
specifiche autorizzazioni non ci fossero», stessa osservazione della parlamentare del gruppo dei liberaldemocratici al
Parlamento Europeo, Marietje Schaake, che chiede se «la
commissione europea» sia «stata informata dal governo italiano dell’esistenza di
una qualche precedente autorizzazione per permettere ad Hacking Team di
esportare in Sudan e Russia». Su questo punto il governo
italiano, vista
anche l’interlocuzione tra il ministero dello sviluppo economico e la stessa
Hacking Team, dovrà necessariamente intervenire nei prossimi giorni.
«Certo – sottolinea Gallus – la vendita a paesi che non sono in blacklist non garantisce comunque un utilizzo
convenzionale e prevedere il reale utilizzatore finale del prodotto non è
sempre facile. Questi prodotti hanno potenzialità tali per cui è facilissimo
abusare dello strumento perché di fatto prendono il controllo delle periferiche
su cui vengono installati, e indubbiamente anche a livello di disciplina
internazionale c’è bisogno di una normativa più forte per regolamentarne
l’utilizzo»."
(Wired, Luca Rinaldi, 15.07.2015)
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