Joker: benvenuti
nell’era della psichiatria politica globale
l'Occidentale, Venerdì 8 Novembre 2019
Un
grande successo di pubblico ha consacrato la popolarità di Joker, il film
hollywoodiano realizzato magistralmente e presentato per la prima volta lo
scorso 31 agosto al 76esimo Festival Internazionale del Cinema di Venezia, dove
è stato riconosciuto meritevole del premio più alto, il Leone d’Oro.
Un
grande cast, a partire dal protagonista Joaquin Phoenix, del quale è superfluo
evidenziare la strepitosa interpretazione. Robert De Niro ha un ruolo
secondario ma di fondamentale importanza per lo sviluppo della storia. Molte
scene riprendono film di Martin Scorsese, come quando in “Taxi Driver” proprio
De Niro simulava di parlare con sconosciuti mentre era da solo nella propria
squallida stanza. Una colonna sonora che si nota, potente e ricca di toni
bassi, sia quella originale (pezzi come Confession o Call Me Joker), sia fatta
di vecchi brani quali My Name Is Carnival, White Room, Smile, Everybody Plays
the Fool, o pezzi di Frank Sinatra quali That’s Life e Send in the Clowns.
L’epoca
in cui si svolge il film è imprecisata, con elementi anni ’70 e ’80 prevalenti,
ma anche elementi della cosiddetta epoca d’oro del capitalismo americano,
all’inizio del XX secolo (a un certo punto i ricchi del film -l’élite o
establishment che apertamente attribuisce al proprio merito la ricchezza e il
potere ottenuti- sono riuniti in un vecchio teatro per vedere “Tempi Moderni”
di Chaplin), quando le differenze tra ricchi e poveri divennero esorbitanti:
detto per inciso fu l’epoca in cui venne ideata la psichiatria di comunità dagli
industriali che volevano rappresentare i problemi dei lavoratori come medici
anziché sindacali; prima di allora la psichiatria era limitata agli ospedali
psichiatrici e le persone non andavano a trovare uno psichiatra in ambulatorio;
prima di allora lo psichiatra veniva associato non alla persona comune ma solo
ai matti.
Nel
film i “padri” di Joker sono due celebrità della TV: Robert De Niro, conduttore
TV, e uno degli uomini più ricchi della città che si candida a sindaco,
rappresentato dai media di Gotham City come l’unico che possa salvare una città
in forte crisi e in piena decadenza.
La
madre ha un ruolo edipico che resta imprecisato, in parte perché non si
riuscirà a capire nemmeno alla fine se i suoi fossero deliri o se ci fosse
stata invece una macchinazione del ricco uomo per il quale lavorava (il futuro
candidato sindaco) in modo da farla convenientemente rinchiudere in manicomio
anche se sana, falsificando le carte.
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"ll film sembra presentare allo spettatore una visione del popolo esattamente come l’establishment vuole che il popolo diventi e come vuole che venga rappresentato e come vuole che il popolo stesso si senta: liberato dalla propria inutile razionalità, orgoglioso della propria follia, apolitico e depoliticizzato, pronto per l’intervento dei due pilastri dell’ordine pubblico e della tecnica psichiatrica."
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Robert
De Niro in questo film è, tanto per cambiare, perfetto: è un famosissimo
conduttore di Talk Show americano, cinico e a suo modo saggio al tempo stesso.
Si capisce da una delle scene iniziali che viene visto da Joker come il padre
che non ha mai avuto: mentre guarda la TV dal letto su cui siede con la madre
Joker immagina che la celebrità TV sarebbe disposta a mollare tutto il
baraccone dello show e della celebrità pur di avere un figlio come lui.
Un
altro elemento è il rapporto con un altro personaggio famoso, che forse è il
padre biologico di Joker, il ricchissimo finanziere che si vuole presentare
come sindaco di Gotham (nomignolo ottocentesco per l’urbe di New York City,
riutilizzato poi nei fumetti di Batman), una città oscura e popolata di
super-ratti, come dice in modo quasi divertito il telegiornale cittadino.
Il
politico è rappresentato come spietato, cinico, indifferente alle sofferenze
del popolo: ricchezza e politica nel film vengono accomunate.
La
psichiatria è rappresentata invece come l’ultimo barlume salvifico che i
cattivi politici tagliano senza pietà per i poveri della città, a cui oltre alla
televisione è rimasto poco altro: Joker assume 7 diversi farmaci, si presume
tutti e 7 psicotropi. In parte nel film è presente una psichiatria
de-medicalizzata, in cui una assistente sociale di colore vede Joker una volta
a settimana per porgli svogliatamente ogni volta le stesse domande da brava
burocrate. Politica cattiva, psichiatria buona.
Il
film riesce a porsi come opera quasi filosofica o ideologica,
avvantaggiandosi del fatto che la follia e la malattia mentale sono state per
decenni, almeno a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, rappresentate come
malattie organiche come tutte le altre, il cervello un organo come tutti gli
altri, la psichiatria una specialità medica come tutte le altre.
Joker
si rivela come un film sorprendente, facendoci in certo modo riscoprire – o
quantomeno riflettere – sulle origini in buona parte psicologiche e sociali di
ciò che identifichiamo comunemente come disturbi mentali o, secondo la
terminologia del film, “condizioni” (il biglietto che Joker allunga o cerca di
allungare allo sconosciuto di turno quando ride in modo discontrollato spiega
infatti come lui non abbia una malattia o una diagnosi ma una “condizione”)
In
realtà’ si potrebbe vedere, all’inverso, come sorprendente il fatto che per
decenni la narrazione dominante ci abbia fatto quasi dimenticare di questa
dimensione. Solo qualche anno fa usciva ad esempio un libro, “Madness is
Civilization” che aveva per sottotitolo “quando la diagnosi era sociale”: la
narrazione dominante ha prima quasi impedito di pensare che la diagnosi possa
avere elementi culturali o sociali, per poi quando il momento lo richieda,
ovvero adesso, “scoprire” questa dimensione che così risulta sorprendente.
Il
film senza dubbio alcuno stigmatizza la follia e la malattia mentale,
accomunandole terribilmente, a dispetto delle campagne globali in corso per la
de-stigmatizzazione dei disturbi mentali, a una criminalità che si fa
spietata e,
in modo crescente nel corso del film, senza una motivazione esterna; le motivazioni
che inizialmente appaiono esterne e “comprensibili” nella loro causalità, anche
se non giustificabili (ma lo spettatore è quasi portato a pensare che siano
giustificabili), sempre più si interiorizzano e ci spingono a cercarne la causa
in processi mentali quasi imperscrutabili. Nel fare questo la
narrazione ci trascina dal mondo esterno a quello interiore, che è
precisamente uno dei maggiori effetti esercitati dal film sullo spettatore. Da
fuori a dentro.