"In Europa ci sono già i presupposti per l'esplosione di un conflitto sociale. Questo è il seme del malcontento, dell'egoismo e della disperazione che la classe politica e la classe dirigente hanno sparso. Questo è terreno fertile per la xenofobia, la violenza, il terrorismo interno, il successo del populismo e dell'estremismo politico."

martedì 6 ottobre 2020

Quanto è realistico il pericolo di una deriva antidemocratica all’interno delle istituzioni europee?

«Quanto è realistico il pericolo di una deriva antidemocratica all’interno delle istituzioni europee? E quale ruolo possono giocare terrorismo e populismo? »
Questa è la domanda che mi posi nel Novembre 2016, quando cominciai a scrivere il mio romanzo.



Raccolsi quindi tutti i ritagli di giornale che avevo messo da parte negli ultimi dieci anni, ritagli che riguardano provvedimenti normativi degli Stati europei così come direttive Comunitarie –come si definivano una volta- che regolano oggi i diritti basilari di espressione, riservatezza e manifestazione di ognuno di noi. Per non tediare il lettore con un elenco illeggibile, rimando al mio blog uropia.blogspot.com dove sono in gran parte condivisi.
Presa per sé, ciascuna di quelle leggi va ad intaccare in maniera più o meno ampia ambiti generalmente limitati delle nostre libertà. Messe tutte insieme come tessere di un mosaico, però, il quadro che ne viene fuori appare allarmante: ciascuna di quelle tessere rappresenta qui ed oggi una porticina aperta, attraverso la quale qualcuno che volesse instaurare una dittatura in Europa in futuro si potrebbe avvicinare un passettino dopo l’altro al suo obiettivo.

Ho fatto finta che in un futuro distopico esistano delle élite finanziarie internazionali, le quali detengano la metà della ricchezza globale, pur rappresentando l’1% della popolazione mondiale. E che abbiano perciò influenza sul mondo dell’informazione e sui protagonisti della democrazia rappresentativa degli Stati del continente. Un’ oligarchia tecnocratica -organizzata in esclusive affiliazioni denominate Ur-Lodges- che abbia in serbo un progetto di riforma globale per cambiare il mondo che conosciamo, rendendolo un luogo più ordinato, sicuro e confortevole.  Per loro.
Più precario, autoritario e arbitrario per chiunque altro.
Cosa dovrebbero fare quelle élites per raggiungere il proprio filantropico obiettivo? Innanzitutto operare in un arco di tempo molto esteso per rovesciare un paradigma nutrito e radicato durante gli anni della guerra fredda. Dal 1945 al 1989, infatti, nel mondo occidentale era stato incoraggiato diffusamente un sentimento nazionale e patriottico in tutti gli Stati d’Europa, in funzione antisovietica; si erano reclutati ex fascisti ed ex nazisti nelle istituzioni dei nuovi Stati democratici. In particolare nei Servizi d’informazione dei Paesi occidentali, come forza militare segreta di patrioti, in caso di presa del potere nei Paesi Nato da parte dei partiti comunisti; e come manovalanza criminale per atti di sabotaggio e terrorismo nell’ottica della Strategia della tensione.

A partire dagli anni Novanta il campo era poi tornato libero per la realizzazione di un Nuovo Ordine Mondiale, che prevedeva la creazione di agglomerati politici di dimensione continentale in America e in Europa, all’interno dei quali è certo più facile implementare un regime di controllo e sorveglianza globale. Sarebbe stato quindi necessario dissolvere gli stessi sentimenti patriottici e nazionalistici fino a quel momento incoraggiati.
Dal punto di vista politico si sarebbe potuto creare una campagna per la „modernizzazione“ della politica, introducendo ovunque sistemi maggioritari che impongono a forze eterogenee e spesso in contrasto tra di loro di coalizzarsi obtorto collo per vincere. Se i cittadini avessero accettato il tradimento degli ideali di sempre da parte dei propri Rappresentanti -e addirittura lo scioglimento di partiti storici e radicati, per fondersi in entità ideologicamente neutre e di fatto equivalenti- e ciò nonostante avessero continuato a votarli, perché mai non si sarebbe potuto pensare che avrebbero un giorno futuro accettato la cancellazione della propria moneta, e persino della propria Patria?

Sul lato economico invece si sarebbe potuta coniare una nuova parola d’ordine: globalizzazione, fenomeno con cui sarebbe stato possibile mettere in concorrenza lavoratori di diverse parti del mondo, in una sorta di corsa al ribasso a spese dei salari e delle tutele giuridiche, del benessere e del potere d’acquisto delle famiglie, del gettito fiscale degli Stati. Infine la creazione di una moneta unica e contestualmente la privatizzazione delle Banche centrali e la loro indipendenza dai rispettivi dicasteri del Tesoro. Ciò avrebbe impedito agli Stati nazionali di detenere la sovranità sulla propria moneta, perdendo la possibilità di intervenire sui tassi di cambio per reagire agli shock dei mercati finanziari, e rinunciando alla possibilità di contrarre debito pubblico tramite la creazione autonoma di buoni del tesoro per ottenere moneta dalla Banca centrale, dovendo invece d’ora in poi consegnare nelle mani dei „Mercati“ il prezzo del proprio debito.
Disoccupazione, debito privato e debito pubblico sarebbero potuti essere il terreno ideale per una crisi sociale senza precedenti: una circostanza estremamente propizia. Aggiungendo una politica estera estremamente disinvolta nell’influenzare la caduta di governi più o meno legittimi in Africa e Medio Oriente, causando guerre civili senza soluzione, la crisi economica e sociale avrebbe potuto essere felicemente sostenuta ed incrementata.

Le ondate migratorie che ne sarebbero conseguite avrebbero reso la situazione ancora più incandescente negli Stati membri: in un Paese costretto all’austerità dalle autorità continentali che avesse ridotto inesorabilmente la spesa per l’assistenza, per la sanità, per i servizi a cittadini ed imprese e per le infrastrutture (ma non avesse rinunciato ad aumentare la propria spesa militare a favore della NATO fino al 2% del Pil) ed il cui popolo si fosse trovasse stretto nella morsa della disoccupazione o del precariato, sarebbe stato assai difficile chiedere ai cittadini di fare ulteriori sacrifici per l’accoglienza dei rifugiati e l’integrazione di masse migratorie senza precedenti. Ecco il terreno fertile per il seme dell’intolleranza e della violenza. Cosa ancora sarebbe stato necessario? In primo luogo un nemico esterno. Astratto e impalpabile, per assumere forme diverse a seconda della convenienza: ieri Al Quaida, oggi IS, domani... CoVid?
Se da un lato tali gruppi, anche loro in passato foraggiati in funzione antisovietica, avrebbero potuto adesso cominciare ad effettuare attentati terroristici sul territorio degli Stati europei, alimentando la paura e l’insicurezza, un virus invisibile dalla pericolosità indimostrabile sarebbe stato il presupposto perfetto, il nemico fluido per eccezione.

Infine un nemico interno. Un populismo nazionalista, o sovranismo, o qualsiasi altra definizione di comodo, che potesse in primo luogo portare a compimento un processo decennale di sfiducia verso le istituzioni, le autorità costituite e la politica tradizionale a causa della loro corruzione e affarismo. Naturalmente, se esiste un corrotto, c’è bisogno anche di un corruttore, e questo deve essere necessariamente facoltoso; va da sé che le nostre immaginarie élites finanziarie avrebbero potuto utilizzare le proprie risorse per corrompere la Politica, per poi raccoglierne i frutti facendola smascherare dai tribunali e gettandola in pasto al risentimento popolare sui media.
La nascita di nuovi soggetti politici più o meno spontanei ed indipendenti – spontaneità direttamente proporzionale ai finanziamenti erogati da NGOs, Think Thanks ed altri organismi internazionali filantropici – avrebbe ulteriormente ridotto il potere dei partiti tradizionali, i loro iscritti, simpatizzanti, elettori. I partiti sarebbero stati così ancora più esposti ad accettare il supporto finanziario di lobbies, fondazioni ed associazioni di categoria private, in cambio della cessione a queste di potere decisionale.

Il populismo avrebbe dunque potuto avere una triplice funzione per la realizzazione di un sistema autoritario continentale: 1) far demonizzare sotto questa etichetta qualsiasi opposizione 2) mettere in condizione di inferiorità e di debolezza i Partiti tradizionali tramite campagne di delegittimazione della politica e della rappresentanza per consegnarli nelle mani delle nostre élites immaginarie 3) realizzare episodi pianificati di violenza, vandalismo, xenofobia in manifestazioni popolari per giustificare la risposta repressiva dello Stato.
Se ciò non fosse successo in maniera sufficientemente spontanea, lo si sarebbe potuto pianificare infiltrando le basi di partiti e movimenti democratici per estremizzarli, renderli politicamente impresentabili o utilizzarli come manovalanza violenta.

In risposta a tutte queste turbolenze e paure, si sarebbe potuta infine proporre la cessione della sovranità all’Unione Europea da parte degli Stati nazionali e il loro scioglimento, convincendo i Popoli europei che il concetto di Stato era sorpassato, che nazionalismo, sovranismo, populismo e violenza politica erano sinonimi. Che per affrontare le sfide globali e competere con Stati Uniti, Russia, Cina, o pandemie virali era assolutamente necessario avere uno Stato unitario, una Difesa Comune, una Polizia comune, servizi di intelligence comuni contro le fake news delle opposizioni populiste, la propaganda delle potenze straniere e dei network terroristici.
Sarebbe stato anche doloroso ma necessario rinunciare a buona parte delle libertà e dei diritti sociali e civili in cambio di maggiore controllo, ordine e sicurezza grazie all’adozione di tecnologie avanzate di sorveglianza digitale, l’abolizione del denaro contante, la raccolta generalizzata di dati personali.
Mi fermo qui, perché il seguito di questa fiction esiste già e si intitola „Uropia, il protocollo Maynards“. Buona lettura.

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