Da homo sapiens
a homo digitalis: l’involuzione umana nella società digitale moderna
Ettore Guarnaccia, ettoreguarnaccia.com, 12 Novembre 2021
L’evoluzione digitale, iniziata con le migliori
intenzioni, ha portato all’avvento e allo sviluppo di social media e
dispositivi digitali. Questo ha modificato profondamente la società, i nostri
comportamenti e le nostre attitudini, causando di fatto un’involuzione
dell’essere umano facilmente osservabile e molto preoccupante. Mentre non è
difficile immaginare quale sarà il risultato futuro di questa involuzione, se
non si agisce tempestivamente sarà invece sempre più difficile cambiare rotta e
dirigersi verso una reale evoluzione dell’essere umano.
"Okay Houston, we’ve had a problem here!"
La frase
pronunciata il 13 aprile 1970 da John Leonard “Jack” Swigert Jr., pilota del
modulo di comando della missione Apollo 13, subito dopo l’esplosione e
il danneggiamento di due serbatoi di ossigeno, col senno di poi, sarebbe stata
perfetta se pronunciata anche nel 2002, quando fu lanciato il primo social
network Friendster, oppure nel 2003, quando MySpace divenne famoso e utilizzato
a livello mondiale, il 4 febbraio 2004, quando fu lanciato Facebook, o ancora
il 9 gennaio 2007, quando fu presentato al mondo l’Apple iPhone, il
primo esemplare di smartphone che introdusse contestualmente anche il concetto
di “app”.
Avvenimenti che, nell’arco di soli 5 anni, hanno
condotto la società nell’era digitale cambiandola profondamente, portando
moltissimi vantaggi in termini di comunicazione, ubiquità della connessione a
Internet e al Web, relazione a distanza, scambio di informazioni, innumerevoli
servizi, applicazioni e giochi sempre a portata di mano. In pochissimo tempo,
lo smartphone è diventato un’estensione del nostro corpo, onnipresente
nella nostra quotidianità, contornato da altri oggetti digitali connessi,
auricolari, smartwatch, sistema di entertainment dell’automobile e molto altro.
Oggi diamo tutto questo per scontato, eppure solo 15 anni fa non avremmo mai
lontanamente immaginato un’evoluzione tecnologica così rapida e pervasiva.
Tutto è avvenuto in maniera inizialmente graduale,
ma con una progressione in costante accelerazione che ancora oggi sta
procedendo a ritmi sempre più rapidi e inarrestabili. Basti pensare
all’introduzione del 5G, delle reti satellitari, di smartphone sempre più
funzionali e potenti, e dei tantissimi oggetti di uso comune (televisori,
stereo, telecamere, frigoriferi, lavastoviglie, friggitrici, ecc.) connessi a
Internet e allo smartphone. Tutto è connesso, tutto è digitale, tutto è “smart”.
Ma quello che inizialmente sembrava così utile,
strabiliante e stupefacente, in realtà ha comportato un elevato prezzo da
pagare, e non mi riferisco ai soldi.
Moltissime funzionalità introdotte da social e
smartphone sono state create con intenti positivi, per aumentare la
soddisfazione, e di conseguenza l’interazione degli utenti, pur sempre con
l’obiettivo unico e imprescindibile di fare business. Ci viene costantemente
raccontato dalla pubblicità che le evoluzioni tecnologiche servono per
migliorare la nostra vita e metterci a disposizione nuovi strumenti mirabolanti
ed efficienti: in parte è accidentalmente vero, ma la realtà è sempre e solo
una: dietro tutto questo, il fine unico e imprescindibile è il profitto,
cui si arriva anche attraverso la raccolta dei dati e il controllo dei comportamenti
degli utenti. Lo hanno pubblicamente denunciato diversi esponenti e
sviluppatori delle big tech di Silicon Valley.
Così, con le migliori intenzioni, sono nati il “like”
di Facebook, la riproduzione automatica di YouTube, le notifiche di Apple, il “pull-to-refresh”
di Twitter, i cuoricini di Instagram, le “loot box” dei videogiochi e
tante altre funzionalità che hanno contribuito ad aumentare sensibilmente
l’interazione e, quindi, lo screen-time degli utenti. Funzionalità che
sono state largamente adottate dai produttori, spesso in combinazione tra loro,
come è accaduto con gamblification e gamification, che
hanno portato rispettivamente l’azzardo all’interno di videogiochi, social e
app, e la parvenza di videogiochi all’interno del mondo dell’azzardo e delle
app. Giochi di abilità per acquisire punteggi e oggetti di vario genere,
sorteggi o estrazioni di premi, quiz e sondaggi, sono oggi presenti in
moltissime app bancarie, assicurative, di e-commerce o della grande
distribuzione. Queste funzionalità si sono dimostrate maledettamente efficaci
nel fidelizzare i clienti e favorire il business.
Da qualche anno a questa parte – cioè da quando i
produttori di piattaforme social e app hanno compreso le potenzialità degli
effetti di determinate funzionalità digitali sui meccanismi neurologici degli
utenti – dispositivi, app e social media sono stati appositamente disegnati e
sviluppati per catturare l’attenzione degli utenti, fidelizzarli e mantenerli
il più possibile incollati al display. Già oggi per molte persone, soprattutto
per bambini e adolescenti, lo smartphone è l’ultima cosa con cui si interagisce
prima di dormire e la prima al risveglio. Le sollecitazioni sono numerose e
frequenti, non passa un minuto senza che riceviamo una notifica, un messaggio,
un “din!” che dirotta la nostra attenzione e il nostro sguardo sul
dispositivo digitale. Queste tecnologie hanno preso in ostaggio la mente e la
volontà degli utenti, dominandone il pensiero, interrompendone ripetutamente
azioni e intenzioni, generando una lenta e inavvertibile assuefazione,
attraverso stimolazioni ripetute a brevissima distanza l’una dall’altra o con
iperstimolazioni derivanti da più stimoli concomitanti (es. smartphone, tablet,
console di gioco e televisione utilizzati nello stesso momento).
In questo processo, etica, principi, ragionevoli
cautele e buon senso sono stati sacrificati sull’altare del business, del
profitto e della rapidità di evoluzione tecnologica, e molti processi
neurologici che inducono assuefazione e dipendenza sono stati sfruttati il
più possibile, senza scrupoli e senza informarne gli utenti. Anzi, questo
sfruttamento è avvenuto, e avviene tuttora, senza che venga in alcun modo
bilanciato da un’adeguata preparazione degli utenti, in forma di educazione
digitale, conoscenza informatica, coscienza dei meccanismi neurologici e
consapevolezza degli effetti che tutto ciò ha sulla mente, sulle scelte
personali e sui comportamenti. Chi ha visto il film-documentario “The Social Dilemma”
capirà un po’ meglio quanto affermo, ma c’è molto di più dietro le quinte.
Il meccanismo neurologico più sfruttato è quello
della ricompensa variabile, spesso nell’ambito di un preciso processo di
aggancio (“hook”) come descritto dall’esperto di psicologia del
consumatore Nir Eyal nel suo libro “Hooked”. Il processo è: [trigger + azione
+ ricompensa variabile + investimento]. Il trigger è
l’innesco che attiva il comportamento (es. la notifica di una nuova e-mail, un
messaggio, un like, un nuovo follower, ecc.), l’azione è il
comportamento che adotta l’utente nella speranza di una ricompensa (es.
aprire l’e-mail, visualizzare il messaggio, scorrere la timeline di un
social media, ecc.) che deve però essere variabile, nel senso che
se l’utente non sa cosa aspettarsi (es. la notifica può riguardare un messaggio
positivo molto atteso, una delusione o qualcosa che gli è indifferente)
l’effetto assuefacente risulta estremamente più potente. Infine, l’investimento,
sotto forma di tempo impiegato nel perpetrare il comportamento, di soldi spesi
per proseguire, di impegno profuso nella raccolta (di like, commenti, follower,
ecc.), nella costruzione di contenuti (es. Instagram, TikTok e YouTube) o nel
partecipare a community tematiche, tutte cose che aumentano la
fidelizzazione e spingono alla reiterazione del comportamento.
È l’attesa di una ricompensa variabile a
generare veri e propri boom di dopamina in specifiche aree del cervello,
le stesse interessate dalle varie forme di dipendenza comportamentale o da
sostanze, che vengono così rafforzate dall’azione di questo neurotrasmettitore
che attiva le sinapsi che collegano i neuroni. La chiave è proprio l’attesa,
per questo slot machine, lotterie, roulette, sorteggi, estrazioni, l’apertura
di bauli, lo scrolling di Instagram o TikTok, la visualizzazione in sequenza di
video su YouTube o di episodi di serie TV su Netflix e Prime Video, o anche il
semplice refresh della videata di un’app, risultano così attraenti e
diabolicamente assuefacenti. Inoltre, il rafforzamento delle aree cerebrali
legate alla dipendenza, soprattutto se sollecitate da ricompense di tipo
artificiale, predispone ad abbracciare ulteriori forme di dipendenza in futuro.