"In Europa ci sono già i presupposti per l'esplosione di un conflitto sociale. Questo è il seme del malcontento, dell'egoismo e della disperazione che la classe politica e la classe dirigente hanno sparso. Questo è terreno fertile per la xenofobia, la violenza, il terrorismo interno, il successo del populismo e dell'estremismo politico."

martedì 7 dicembre 2021

L'involuzione digitale dell'Umanità: l'epoca della solitudine (sorvegliata)

Da homo sapiens a homo digitalis: l’involuzione umana nella società digitale moderna

 

 


 

Ettore Guarnaccia, ettoreguarnaccia.com, 12 Novembre 2021

 

L’evoluzione digitale, iniziata con le migliori intenzioni, ha portato all’avvento e allo sviluppo di social media e dispositivi digitali. Questo ha modificato profondamente la società, i nostri comportamenti e le nostre attitudini, causando di fatto un’involuzione dell’essere umano facilmente osservabile e molto preoccupante. Mentre non è difficile immaginare quale sarà il risultato futuro di questa involuzione, se non si agisce tempestivamente sarà invece sempre più difficile cambiare rotta e dirigersi verso una reale evoluzione dell’essere umano.

 

"Okay Houston, we’ve had a problem here!"

 

 La frase pronunciata il 13 aprile 1970 da John Leonard “Jack” Swigert Jr., pilota del modulo di comando della missione Apollo 13, subito dopo l’esplosione e il danneggiamento di due serbatoi di ossigeno, col senno di poi, sarebbe stata perfetta se pronunciata anche nel 2002, quando fu lanciato il primo social network Friendster, oppure nel 2003, quando MySpace divenne famoso e utilizzato a livello mondiale, il 4 febbraio 2004, quando fu lanciato Facebook, o ancora il 9 gennaio 2007, quando fu presentato al mondo l’Apple iPhone, il primo esemplare di smartphone che introdusse contestualmente anche il concetto di “app”.

Avvenimenti che, nell’arco di soli 5 anni, hanno condotto la società nell’era digitale cambiandola profondamente, portando moltissimi vantaggi in termini di comunicazione, ubiquità della connessione a Internet e al Web, relazione a distanza, scambio di informazioni, innumerevoli servizi, applicazioni e giochi sempre a portata di mano. In pochissimo tempo, lo smartphone è diventato un’estensione del nostro corpo, onnipresente nella nostra quotidianità, contornato da altri oggetti digitali connessi, auricolari, smartwatch, sistema di entertainment dell’automobile e molto altro. Oggi diamo tutto questo per scontato, eppure solo 15 anni fa non avremmo mai lontanamente immaginato un’evoluzione tecnologica così rapida e pervasiva.

 

Tutto è avvenuto in maniera inizialmente graduale, ma con una progressione in costante accelerazione che ancora oggi sta procedendo a ritmi sempre più rapidi e inarrestabili. Basti pensare all’introduzione del 5G, delle reti satellitari, di smartphone sempre più funzionali e potenti, e dei tantissimi oggetti di uso comune (televisori, stereo, telecamere, frigoriferi, lavastoviglie, friggitrici, ecc.) connessi a Internet e allo smartphone. Tutto è connesso, tutto è digitale, tutto è “smart”.

Ma quello che inizialmente sembrava così utile, strabiliante e stupefacente, in realtà ha comportato un elevato prezzo da pagare, e non mi riferisco ai soldi.

Moltissime funzionalità introdotte da social e smartphone sono state create con intenti positivi, per aumentare la soddisfazione, e di conseguenza l’interazione degli utenti, pur sempre con l’obiettivo unico e imprescindibile di fare business. Ci viene costantemente raccontato dalla pubblicità che le evoluzioni tecnologiche servono per migliorare la nostra vita e metterci a disposizione nuovi strumenti mirabolanti ed efficienti: in parte è accidentalmente vero, ma la realtà è sempre e solo una: dietro tutto questo, il fine unico e imprescindibile è il profitto, cui si arriva anche attraverso la raccolta dei dati e il controllo dei comportamenti degli utenti. Lo hanno pubblicamente denunciato diversi esponenti e sviluppatori delle big tech di Silicon Valley.

Così, con le migliori intenzioni, sono nati il “like” di Facebook, la riproduzione automatica di YouTube, le notifiche di Apple, il “pull-to-refresh” di Twitter, i cuoricini di Instagram, le “loot box” dei videogiochi e tante altre funzionalità che hanno contribuito ad aumentare sensibilmente l’interazione e, quindi, lo screen-time degli utenti. Funzionalità che sono state largamente adottate dai produttori, spesso in combinazione tra loro, come è accaduto con gamblification e gamification, che hanno portato rispettivamente l’azzardo all’interno di videogiochi, social e app, e la parvenza di videogiochi all’interno del mondo dell’azzardo e delle app. Giochi di abilità per acquisire punteggi e oggetti di vario genere, sorteggi o estrazioni di premi, quiz e sondaggi, sono oggi presenti in moltissime app bancarie, assicurative, di e-commerce o della grande distribuzione. Queste funzionalità si sono dimostrate maledettamente efficaci nel fidelizzare i clienti e favorire il business.

 

Da qualche anno a questa parte – cioè da quando i produttori di piattaforme social e app hanno compreso le potenzialità degli effetti di determinate funzionalità digitali sui meccanismi neurologici degli utenti – dispositivi, app e social media sono stati appositamente disegnati e sviluppati per catturare l’attenzione degli utenti, fidelizzarli e mantenerli il più possibile incollati al display. Già oggi per molte persone, soprattutto per bambini e adolescenti, lo smartphone è l’ultima cosa con cui si interagisce prima di dormire e la prima al risveglio. Le sollecitazioni sono numerose e frequenti, non passa un minuto senza che riceviamo una notifica, un messaggio, un “din!” che dirotta la nostra attenzione e il nostro sguardo sul dispositivo digitale. Queste tecnologie hanno preso in ostaggio la mente e la volontà degli utenti, dominandone il pensiero, interrompendone ripetutamente azioni e intenzioni, generando una lenta e inavvertibile assuefazione, attraverso stimolazioni ripetute a brevissima distanza l’una dall’altra o con iperstimolazioni derivanti da più stimoli concomitanti (es. smartphone, tablet, console di gioco e televisione utilizzati nello stesso momento).

In questo processo, etica, principi, ragionevoli cautele e buon senso sono stati sacrificati sull’altare del business, del profitto e della rapidità di evoluzione tecnologica, e molti processi neurologici che inducono assuefazione e dipendenza sono stati sfruttati il più possibile, senza scrupoli e senza informarne gli utenti. Anzi, questo sfruttamento è avvenuto, e avviene tuttora, senza che venga in alcun modo bilanciato da un’adeguata preparazione degli utenti, in forma di educazione digitale, conoscenza informatica, coscienza dei meccanismi neurologici e consapevolezza degli effetti che tutto ciò ha sulla mente, sulle scelte personali e sui comportamenti. Chi ha visto il film-documentario “The Social Dilemma” capirà un po’ meglio quanto affermo, ma c’è molto di più dietro le quinte.

 

Il meccanismo neurologico più sfruttato è quello della ricompensa variabile, spesso nell’ambito di un preciso processo di aggancio (“hook”) come descritto dall’esperto di psicologia del consumatore Nir Eyal nel suo libro “Hooked”. Il processo è: [trigger + azione + ricompensa variabile + investimento]. Il trigger è l’innesco che attiva il comportamento (es. la notifica di una nuova e-mail, un messaggio, un like, un nuovo follower, ecc.), l’azione è il comportamento che adotta l’utente nella speranza di una ricompensa (es. aprire l’e-mail, visualizzare il messaggio, scorrere la timeline di un social media, ecc.) che deve però essere variabile, nel senso che se l’utente non sa cosa aspettarsi (es. la notifica può riguardare un messaggio positivo molto atteso, una delusione o qualcosa che gli è indifferente) l’effetto assuefacente risulta estremamente più potente. Infine, l’investimento, sotto forma di tempo impiegato nel perpetrare il comportamento, di soldi spesi per proseguire, di impegno profuso nella raccolta (di like, commenti, follower, ecc.), nella costruzione di contenuti (es. Instagram, TikTok e YouTube) o nel partecipare a community tematiche, tutte cose che aumentano la fidelizzazione e spingono alla reiterazione del comportamento.

È l’attesa di una ricompensa variabile a generare veri e propri boom di dopamina in specifiche aree del cervello, le stesse interessate dalle varie forme di dipendenza comportamentale o da sostanze, che vengono così rafforzate dall’azione di questo neurotrasmettitore che attiva le sinapsi che collegano i neuroni. La chiave è proprio l’attesa, per questo slot machine, lotterie, roulette, sorteggi, estrazioni, l’apertura di bauli, lo scrolling di Instagram o TikTok, la visualizzazione in sequenza di video su YouTube o di episodi di serie TV su Netflix e Prime Video, o anche il semplice refresh della videata di un’app, risultano così attraenti e diabolicamente assuefacenti. Inoltre, il rafforzamento delle aree cerebrali legate alla dipendenza, soprattutto se sollecitate da ricompense di tipo artificiale, predispone ad abbracciare ulteriori forme di dipendenza in futuro.

 

Ecco perché negli ultimi anni si parla sempre più spesso di visione compulsiva di foto, filmati, clip e serie TV (binge watching) su social e piattaforme di video streaming, di ludopatia in relazione a videogiochi e gioco d’azzardo (soprattutto in forma digitale), di peggioramento della qualità della vita a causa del sacrificio di priorità fondamentali come la corretta alimentazione, il riposo notturno, l’igiene personale, le attività all’aria aperta e le relazioni sociali dirette, nonché di progressivo abbassamento del livello di attenzione, della capacità di svolgere efficacemente i propri doveri (studio, lavoro, educazione, genitorialità, ecc.) e del quoziente intellettivo effettivamente espresso (ogni volta che parlo o scrivo di queste cose mi viene in mente il film “Idiocracy”).

 

I dispositivi digitali sono in grado di catturare e dirottare l’attenzione anche da spenti, basta che siano nelle vicinanze, ecco perché consiglio sempre di spostarli in un’altra stanza fuori portata quando si ha la necessità di concentrarsi su un’azione o un compito. Le continue sollecitazioni e interruzioni distraggono e inducono a reiterare comportamenti assuefacenti, arrivando letteralmente a dominare il pensiero, dirigendolo costantemente all’azione che genera la ricompensa variabile. Succede sempre più spesso di sorprendersi a pensare a chi potremmo scrivere un messaggio, a quali novità ci sono su Twitter o in Facebook, a come superare il livello del videogioco preferito, a come vincere al gioco d’azzardo, oppure a come ottenere il premio dell’app della nostra banca o del supermercato di fiducia.

Anche la disponibilità e la rapidità di accesso a informazioni, servizi e prodotti hanno plasmato la mente degli utenti, abituandoli ad avere tutto e subito, contribuendo quindi ad abbassare ulteriormente livello di attenzione e capacità di concentrazione, aumentando al contempo la sensazione di noia, il disinteresse e l’apatia. Difficilmente l’utente medio guarda per intero un filmato di durata superiore ai 30 secondi, a meno che non sia di particolare interesse per lui. Allo stesso tempo, soprattutto fra i più giovani, si ha sempre meno la pazienza di costruire qualcosa, leggere un libro fino in fondo, intraprendere e completare un percorso, ottenere un piccolo risultato dopo l’altro.

 

Oggi si vuole tutto a portata di click, come se dovessimo acquistarlo su Amazon. Non ci si costruisce una bicicletta un po’ alla volta, la si compra già fatta. Non si legge un libro, si cerca il riassunto su Google, magari con recensioni e commenti. Non si perde tempo a selezionare un contenuto in base ai propri interessi, si guarda ciò che ti consigliano gli amici, i social o la televisione. Non si intraprende una carriera attraverso lo studio, l’esperienza e la competenza, ma si esigono avanzamenti di carriera e aumenti di stipendio subito e con cadenza regolare, altrimenti si abbandona il lavoro o si cambia incarico, senza perdere tempo a costruirsi una reale professionalità. Non si ricostruisce la verità attraverso approfondimenti e verifiche, ma la si vuole preconfezionata in una sintesi offerta da mainstream media, giornali, telegiornali e talk show, limitandosi per brevità alla sola lettura di titoli e slogan. Non si perde tempo a conoscere veramente una persona, ma la si giudica in base all’apparenza, alla notorietà online e al numero dei follower.

 

La scuola, ancora in larga parte ancorata ai metodi di insegnamento di mezzo secolo fa, è sempre più distante dall’interesse dei giovani e si rivela incapace di farne uomini e cittadini. L’educazione avviene prevalentemente in base a ciò che propongono gli influencer, idoli giovanili sempre più ignoranti e devoti a infimi ideali. Non è un caso se, secondo il rapporto OCSE-Pisa 2018, gli studenti italiani si collocano agli ultimi posti in Europa per capacità di leggere e interpretare un testo scritto, mentre solo uno studente su 20 è in grado di distinguere tra fatti e opinioni. E non sono un caso neanche i risultati estremamente preoccupanti delle prove INVALSI 2021, secondo le quali non raggiungono il livello minimo in lingua italiana e matematica, rispettivamente il 39% e il 45% degli studenti di terza media e rispettivamente il 44% e il 51% dei maturandi.

Colpa dei social e dei dispositivi digitali? No! Il fatto è che abbiamo investito moltissimo nell’evoluzione tecnologica, ma non altrettanto in preparazione, cultura, conoscenza e consapevolezza degli utenti. La conseguenza è che l’utilizzo del digitale avviene in risposta agli stimoli e alle spinte provenienti dal digitale stesso, che le persone impreparate subiscono inconsapevolmente e ai quali reagiscono con comportamenti indotti artificialmente. Il risultato è un utilizzo prevalentemente ludico, futile, superficiale e scriteriato del digitale, senza alcuna preoccupazione sulle possibili conseguenze, che possono essere anche gravi.

 

Il cervello umano si plasma in base alle esperienze. Le gratificazioni immediate, ripetute e artificiali, la dominanza e la deviazione del pensiero, la dissonanza cognitiva e le delusioni derivanti da un mondo reale che non funziona come promettono i social, ci hanno abituato sempre più all’impazienza, alla superficialità, al senso del diritto e non della responsabilità, ad avere tutto subito ancor prima di desiderarlo, a ricercare successo e notorietà con il minimo sforzo, ad anteporre il digitale ludico alle priorità di una vita sana e soddisfacente.

Questa involuzione di massa ha generato apatia psichica e analfabetismo emotivo, ha ucciso il senso critico, ha azzerato le abilità decisionali e di problem solving, ha demolito la capacità di analizzare ciò che ci avviene intorno e di decodificarne il significato e le possibili conseguenze. Agiamo sempre più istintivamente, rispondendo bovinamente a stimoli esterni, incapaci di resistere ai condizionamenti devianti, cadendo facilmente preda di conformismo e utilitarismo, in una sorta di effetto gregge alimentato dalla crescente incertezza del contesto reale e digitale che stiamo vivendo. Incertezza generata da un disorientamento cognitivo che è conseguenza diretta dell’imposizione di ideologie contronatura, della distruzione dei principi fondanti dell’essere umano, dell’esaltazione di visibilità, notorietà, successo e ricchezza a scapito di etica e valori sani, dell’incitamento all’etichettatura, alla derisione, alla discriminazione e all’odio verso chi si sforza ancora di rivendicare diritti e libertà, coltivando capacità di analisi e senso critico.

 

L’immobilità, il capo chino sul display, l’eccessiva curvatura del rachide cervicale, le spalle strette e la postura raccolta e contratta sono chiari segni di chiusura al mondo esterno, di passività e di sottomissione, che rendono inclini all’accettazione incondizionata e alla manipolazione mentale. La dissonanza cognitiva dilagante e la costruzione di frame mediatici innaturali e contraddittori, a opera di false correnti politiche e media asserviti, aumentano notevolmente il livello di disagio psichico già indotto dal digitale in sé, generando insicurezza, crisi d’identità e paura di violare il pensiero comune dominante. Questo ci relega sempre più al ruolo di spettatori passivi degli eventi, in costante (e inutile) attesa di un supereroe che venga a salvarci, come siamo stati addestrati a sperare da cinema, serie TV e televisione.

 

Questo disagio psichico crea una forte carenza di autostima e inevitabili vuoti che vengono riempiti da idiozia, demenzialità, futilità e valori infimi come apparenza, sesso, soldi, droga, violenza, successo e popolarità a qualsiasi costo, invece che da gratificazioni naturali, emozioni autentiche e sentimenti genuini. Ne sono un chiaro esempio i social più in voga tra i giovani (TikTok, Instagram e YouTube) e il mondo dell’intrattenimento (musica, cinema e televisione), che propongono modelli di perfezione ritoccati e intrisi di esposizione oscena del proprio corpo, sessualità esasperata e deviata, violenza fisica e verbale, uso di sostanze e distruzione della propria reputazione, che vengono sempre più emulati acriticamente da mandrie di giovani mentalmente soggiogati ai trend più idioti e moralmente degradanti. Per quale motivo si è registrato un aumento di oltre il 30% delle richieste di interventi estetici in età sempre più basse, mentre quasi il 50% dei giovani di 13-18 anni sarebbe disposto a ricorrere alla medicina estetica e uno su tre addirittura a sottoporsi a un intervento di chirurgia estetica per migliorare il proprio aspetto, se non per emulare i modelli di perfezione proposti da social come Tiktok e Instagram?

 

Lo sguardo focalizzato su contenuti ipnotici proposti in sequenza, le dita occupate a sostenere lo smartphone, a digitare e a scorrere, le orecchie impegnate da auricolari e cuffie, la mente catturata e presa in ostaggio dai meccanismi occulti del digitale, la diffidenza verso il prossimo e l’isolamento imposto per legge: tutto questo ci sta privando dei nostri sensi, della nostra percezione, delle relazioni umane fatte di contatto visivo, contatto fisico, tono della voce, linguaggio del corpo, gesti affettivi. Proprio ciò di cui l’essere umano non può fare a meno, in quanto animale sociale. È per questo che l’era digitale moderna è stata definita da più esperti come l’epoca della solitudine, una solitudine non solo fisica, ma anche emotiva, sensoriale, affettiva, che è alla base dell’aumento esponenziale di ansia, depressione, senso di isolamento, autolesionismo, disturbi alimentari e suicidi, soprattutto fra i più giovani, osservato proprio negli ultimi 15 anni.

 

Non è difficile immaginare il futuro che ci attende.

 

Il decadimento della qualità della vita abbruttisce l’essere umano, l’alterazione del ritmo circadiano (sonno-veglia) causa carenza e pessima qualità del sonno che indeboliscono fisicamente e psicologicamente, la sedentarietà e la cattiva alimentazione generano malessere e malattie, il tempo passato al chiuso e la visione ravvicinata causano miopia fisica e mentale, mentre l’intelligenza si sposta dall’uomo ai dispositivi digitali. Che diventano sempre più smart, mentre rendono gli utenti sempre più dumb. Molti bambini nascono da genitori digitalmente distratti, vengono privati di un’infanzia sana e sono intrattenuti da babysitter digitali che anestetizzano, ipnotizzano, iperstimolano e li rendono perfetti candidati per future forme di dipendenza, nonché cittadini ideali per i governi totalitari che già si intravvedono all’orizzonte.

 

Dai dispositivi digitali portatili passeremo sempre più a quelli indossabili e, molto presto, a quelli integrabili nel corpo umano, all’insegna della moda e della comodità d’uso, con il risultato di consentire inconsapevolmente e passivamente a terze parti (lo Stato, le forze dell’ordine, l’industria farmaceutica, le grandi compagnie tecnologiche, la grande distribuzione, i produttori di videogiochi, ecc.) l’interazione diretta con il nostro corpo e la nostra mente, mentre approveremo condizioni e termini d’uso che continueremo a non leggere e a non comprendere. Entreremo a passo di danza nel transumanesimo, inneggiando giulivi all’ennesimo mirabolante gadget tecnologico che ci faciliterà la vita, mentre lasceremo indietro pezzi della nostra natura originaria di esseri umani.

 

Aspetto esteriore e capacità di pensare autonomamente saranno sempre più discriminanti e motivo di derisione, biasimo, discriminazione e odio, mentre verranno abbattute le competenze culturali, di ragionamento e di pensiero, per lasciare il posto a idiozia, demenzialità e superficialità. La paura di morire sovrasterà quella di vivere e il timore di esprimere un’opinione contraria alle ideologie dominanti imposte soffocherà qualsiasi senso critico, mentre le libertà fondamentali verranno smantellate a favore dell’offerta di protezione da emergenze e nemici di varia natura, generati appositamente per soggiogare le menti più deboli e predisposte. Le scelte della massa saranno fortemente indirizzate da false verità facilmente digeribili e da ideologie innaturali, distopiche e malate, confezionate accuratamente da governi che faranno leva sulla paura, il senso di colpa, un’ingannevole senso comune e il loro ruolo istituzionale di guida e protezione dei più deboli (i cittadini), grazie alla spietata opera di propaganda somministrata insistentemente dai media mainstream, i cui giornalisti saranno ormai stati scaricati e sostituiti da bot e ologrammi asettici, privi di emozioni, fedeli esecutori del loro mandato e programmati per colonizzare la mente degli spettatori.

 

Le tante ore spese a scorrere passivamente immagini sui social sottrarranno sempre più spazio alla cura di sé, al riposo, alla frequenza e alla qualità delle relazioni (anche in famiglia), alla cultura, con il risultato di indebolire la capacità di discernimento e di pensiero, abbattere la resistenza fisica e psicologica, rendere incapaci di distinguere fra giusto e sbagliato, generare un grave disinteresse verso il contesto e le prospettive future. Verremo privati delle gratificazioni naturali legate a relazioni affettive e sessualità, che saranno sostituite da surrogati digitali, app di incontri, pornografia, videochat ed esibizionismo social, con la promessa di un’esperienza più coinvolgente e stimolante. Sempre più filtri miglioreranno il nostro aspetto esteriore, mentre nessun filtro impedirà che tutta la nostra vita venga messa in vetrina sui social. I modelli proposti dai social e osannati dai media genereranno una crescente pressione da realizzazione sociale, soprattutto fra i più giovani, causando senso di inadeguatezza, delusione, carenza di autostima e fenomeni depressivi. Aumenteranno inevitabilmente i disturbi delle aree comportamentali, affettivo-relazionali e sociali, mentre ci scopriremo sempre meno capaci di svolgere le operazioni più semplici e basilari se non avremo a disposizione uno smartphone.

 

I migliori giocatori di videogiochi sparatutto verranno accuratamente selezionati nelle competizioni internazionali e reclutati per guidare a distanza droni killer ed eserciti di soldati umanoidi robot contro falsi nemici individuati per fini di business strategico. L’apatia psichica e l’analfabetismo emotivo li renderanno immuni alle emozioni mentre trucidano persone reali a migliaia di chilometri di distanza come fossero semplici personaggi di un videogioco. La mente di milioni di giocatori di videogiochi di ruolo verrà risucchiata in metaversi nei quali cercheranno di costruirsi una nuova identità digitale migliore di quella reale, spenderanno valuta elettronica (acquistata con soldi reali) per acquistare beni virtuali che non esistono, parteciperanno a concerti e faranno sport senza alzarsi dal divano, dimenticheranno i rapporti diretti con parenti e amici, ricorreranno soddisfazioni artificiali di vario genere, per poi cadere in forte depressione quando la vita li strapperà al metaverso per riportarli nella realtà.

 

La politica, in larga parte costituita da influencer, si laverà la coscienza promulgando leggi apparentemente disegnate per tutelare i diritti dei cittadini, ma che in realtà continueranno a risultare inapplicabili e inefficaci, poiché indirizzate esclusivamente a condannare a fatto compiuto e non a prevenire i problemi. Nessun investimento, invece, verrà destinato all’aggiornamento e al potenziamento dell’istruzione scolastica, né all’innalzamento della cultura, della consapevolezza e della coscienza delle persone, poiché l’analfabetismo funzionale ed emotivo costituirà il grimaldello ideale per scardinare i diritti fondamentali e instaurare misure restrittive e di controllo sempre più vessatorie e liberticide, che la massa accetterà passivamente, senza opporre resistenza, anzi spesso con entusiasmo.

 

Mentre i media ci stanno proponendo un “new normal” con il miraggio di una società moderna, digitalizzata e sicura, il contesto in cui ci ritroveremo a vivere si rivelerà profondamente inadatto alla natura umana, offrendo una realtà che non risuona con il nostro intimo interiore. Molti si sentiranno come topi in gabbia, soli, spaventati, insicuri, costretti in frame distopici e destabilizzanti, condizione ideale per cadere preda di stati d’animo fortemente negativi e abbracciare forme di dipendenza o pensieri suicidi come ingannevole via di fuga.

Tutto questo costituirà il terreno ideale per dare vita a una nuova specie involuta, l’homo digitalis, analfabeta funzionale, apatico, anaffettivo, passivo, privo di senso critico, dignità e autostima, incapace di pensare e di provare emozioni, con il quoziente intellettivo di un mollusco, assuefatto al display, dipendente da stimoli digitali e gratificazioni artificiali, totalmente condizionabile, manipolabile e controllabile. Una specie di zombie dal ghigno idiota alla ricerca dei pochissimi cervelli ancora sani da divorare.

 

L’impresa iniziata con il lancio di social media, smartphone e app sta viaggiando rapidamente verso un esito analogo a quello dell’Apollo 13. Qualcosa è andato storto e il buon senso dovrebbe spingerci ad abbandonare la missione e tornare indietro, salvando almeno l’equipaggio. Lo leggo chiaramente negli occhi di chi assiste ai miei eventi: intimamente, anche se spesso inconsciamente, ognuno di noi sa che la direzione intrapresa dalla società digitale moderna è profondamente sbagliata, innaturale, pericolosa, e che sarà difficilissimo invertire la rotta se tutti i motori sociali, culturali, politici e industriali continueranno a spingere in quella direzione.

Avremo la forza di compiere questo importante passo? Riusciremo a invertire la rotta e tornare di nuovo “esseri umani”? Soprattutto, siamo ancora in tempo?

 

Ettore Guarnaccia

 

 

 

Link originale: https://www.ettoreguarnaccia.com/archives/7800


Nessun commento:

Posta un commento