A partire dagli anni Dieci del 21° secolo, nel giro di qualche lustro il mondo era cambiato veramente.
In Europa la successione a breve distanza degli attentati di Parigi e di Bruxelles aveva sconcertato il mondo, ma soprattutto aveva cominciato a minare le certezze e le sicurezze del cittadino medio dell’Unione europea.
Poco dopo si erano susseguiti altri episodi di diversa entità, a Monaco di Baviera, Würzburg, Nizza, Berlino, Manchester.
Improvvisamente la paura aveva assunto una dimensione concreta, tangibile, quotidiana, perché era piombata in ogni piazza, in ogni stadio, in ogni via, in ogni cinema o teatro, aeroporto o stazione, centro commerciale, festa paesana.
Le autorità dei singoli Paesi colpiti avevano reagito con indagini, sorveglianze, fermi, retate nei propri ambiti territoriali di competenza; ogni volta sembrava di tornare alla “normalità”.
Fino all’episodio successivo.
Da parte delle stesse autorità si invocava sempre più spesso la creazione di un’entità antiterrorismo centralizzata che, andando oltre le attuali collaborazioni e connessioni a livello informativo tra le singole forze di polizia dei Paesi membri, fosse autonoma dai governi dei singoli stati, ma operativa su tutto il territorio dell’Unione e a questa rispondente.
Il Governo britannico, dopo il Brexit, aveva contrattato accordi bilaterali con il resto d’Europa, mantenendo al Paese lo Status “eccentrico”, i privilegi dell’opt-out, e della propria valuta.
La Catalunya si era autoproclamata indipendente dalla Spagna, aprendo una crisi senza soluzione; non si era stati capaci di portare avanti dei negoziati, poiché i progressi raggiunti dalle maggioranze di centrosinistra – più inclini a concessioni autonomiste e federaliste – erano sconfessati dai governi a maggioranza conservatrice ideologicamente intransigenti.
Questa debolezza intrinseca era stata anche il motivo della reazione durissima del Primo Ministro spagnolo, la ragione della dichiarazione dello Stato d’emergenza, degli arresti dei politici catalani e dello schieramento della Guardia Civil in tutta la Regione.
Il Paese era pervaso da una situazione di estrema instabilità politica e sociale.
La nuova Repubblica islamica di Turchia si trovava in una posizione molto isolata.
Il fatto compiuto delle annessioni dei territori curdi della Siria e dell’Irak, avvenute nel bel mezzo della guerra contro il Califfato Islamico, aveva provocato l’espulsione del Paese dalla Nato ed era stato condannato ripetutamente dall’Onu; ufficialmente ci si riferiva a quei territori come ai territori curdi occupati. Ma come per i territori arabi occupati da Israele cinquanta anni prima, le risoluzioni delle Nazioni Unite non erano mai state applicate.
Negli Stati Uniti, prima di essere spazzato via dagli scandali, il Presidente aveva pensato bene di incontrarsi con il suo pari grado russo e riconoscere l’annessione della Crimea in cambio dell’estradizione di Edward Snowden e del via libera al mutamento di regime in Siria; oltre a ciò poche altre cose degne di nota, tra cui quella di riuscire a far approvare con l’unanimità del Congresso la messa al bando di Wikileaks, su proposta dell’Interagency Policy Committee for Wikileaks creato pochi anni prima da Barack Obama.
Comunque, sull’onda della sua vittoria nella corsa alla Casa Bianca, in quasi tutti i Paesi d’Europa dove si erano tenute elezioni negli anni successivi, i partiti di protesta avevano vinto le elezioni o avevano raggiunto un tale consenso elettorale da diventare seconda o terza forza politica dei rispettivi parlamenti.
E ogni estate, con l’acuirsi stagionale dell’afflusso di profughi e clandestini, si erano fatte sempre più numerose e frequenti in tutta Europa le dimostrazioni xenofobe, si erano verificati in misura crescente attacchi a campi profughi, aggressioni a cittadini stranieri, e conseguenti rivolte popolari nei quartieri ad alta concentrazione d’immigrati dai quali le vittime degli episodi provenivano.
Infine, un po’ dappertutto si erano intensificati attacchi informatici anonimi nei confronti dei sistemi vitali di istituzioni, ospedali, infrastrutture di numerosi Paesi, attacchi che talvolta avevano sospeso le funzioni vitali di intere aree geografiche per qualche ora creando caos, disagi e danni, prima che fosse possibile ripristinare la normalità.
Due erano gli elementi comuni a tutti i provvedimenti di riforma in tutti i Paesi: in primis la realizzazione di sistemi elettorali maggioritari – nei quali non era decisivo il numero di voti, bensì il numero di collegi conquistati – e che comportavano la creazione di sistemi partitici bipolari; in secondo luogo, era stata di fatto sancita silenziosamente la subordinazione delle fonti legislative nazionali rispetto alla legislazione europea.
Con la conseguenza non dichiarata ma evidente dell’esautorazione delle prerogative dei Tribunali costituzionali dei Paesi membri rispetto alle normative emanate da Bruxelles.
Le proteste contro lo snaturamento delle Costituzioni erano state vibranti, ma erano rimaste per lo più circoscritte ad accademici, intellettuali e militanti politici in tutti i Paesi; i cittadini avevano problemi di portata emozionale ben maggiore: immigrazione incontrollata, terrorismo islamico, disoccupazione, povertà diffusa.
I partiti di estrema destra e di estrema sinistra profittavano naturalmente dell’enorme potenziale di conflitto sociale reso inevitabile dalla situazione, raccogliendo i non imprevisti frutti delle decennali politiche economiche e sociali dei governi dei Paesi europei e della Commissione.
La svolta epocale avvenne di lì a poco.
In risposta a tutti questi stimoli e problemi, la Commissione europea aveva presentato al Parlamento europeo un progetto di legge senza precedenti: esso prevedeva la creazione di un vero e proprio Governo centrale europeo, la confluenza dei Paesi membri in una nuova entità statale superiore, Europa; la cessione a questa della loro sovranità.
Per la sua approvazione sarebbe stata necessaria la maggioranza qualificata dei parlamentari.
Questa però non era stata raggiunta: il testo era stato sì accettato dal Parlamento, ma con una più risicata maggioranza.
Poiché secondo i Trattati le decisioni del Parlamento Europeo avevano solo parere consultivo e non erano vincolanti per la Commissione, il Presidente aveva preso atto dell’approvazione “in ogni caso verificatasi” e aveva invitato i governi dei singoli Stati membri a provvedere alla ratifica da parte dei rispettivi parlamenti.
La ratifica complessiva era slittata più volte.
Responsabili – nonostante l’impressionante campagna per il sì sostenuta dai governi, dall’Unione e da tutti i mezzi d’informazione così detti mainstream – erano stati i referendum popolari in Irlanda, Inghilterra, Grecia e Polonia, nei quali la maggioranza dei cittadini si era espressa contraria.
Per ovviare a questo “contrattempo”, in ciascuno di questi Paesi era stato semplicemente indetto un nuovo referendum.
Le manifestazioni di piazza organizzate ovunque dalle opposizioni furono semplicemente ignorate e i Tribunali Costituzionali nulla poterono di fronte ad una legge proveniente da una fonte sovraordinata alle stesse Costituzioni.
In Italia la presenza dell’ennesimo Governo non eletto dai cittadini, ma votato dalle maggioranze parlamentari, aveva creato più che altrove una permanente tensione sociale e una spaccatura nel Paese tra “piazza e Palazzo”: le dimostrazioni e gli scioperi avevano messo in ginocchio l’istruzione, i trasporti e assediato per giorni Palazzo Madama, la Camera dei deputati, il Quirinale, il palazzo del Governo.
Poi gli attentati di cellule salafite negli aeroporti di Milano e Barcellona avevano completamente alterato il clima generale in tutti i Paesi dell’Unione.
Infine l’esplosione suicida di un addetto alle pulizie di origine marocchina alla centrale nucleare belga di Doel era stato lo choc finale che aveva fatto piombare la gente nell’isteria.
Così ai secondi referendum fu registrata ovunque una vittoria del Sì.
O una vittoria della paura.
Seppure pro tempore, quindi, il primo gennaio il Presidente della Commissione Andraș Pordan sarebbe diventato il primo Presidente d’Europa; la Commissione il suo primo Governo; il belga Van Bruyk, attuale Presidente del Consiglio Europeo, sarebbe diventato primo Presidente della Repubblica, il parlamento europeo il primo parlamento monocamerale – e l’unico – dell’intero continente.
Questa situazione temporanea sarebbe durata un anno, nel quale l’organizzazione del nuovo Superstato e la sua nuova burocrazia sarebbero state attivate e rese operative.
Nel frattempo i parlamenti dei singoli ex-Stati si sarebbero dovuti trasformare in parlamenti regionali dandosi le regole per il proprio funzionamento e per l’espletamento delle proprie competenze legislative, amministrative, organizzative e infine per la definizione di un nuovo sistema elettorale che in autunno avrebbe consentito di eleggere i nuovi parlamentari europei, i primi della Repubblica d’Europa.
Quando Max rientrò nel proprio ufficio, Alexandre lo stava aspettando in reception.
Lo vide dalla porta comunicante e notò l’espressione del suo volto.
«Hey capo! Bentornato, tutto bene?»
Il “capo” si era completamente dimenticato dell’appuntamento con lui!
Durante il breve percorso del ritorno, seduto nel tram, gli erano rimbombate a ripetizione le parole di Matthew e per poco non aveva saltato la sua fermata.
«Alex!»
Abbozzò un sorriso cordiale e gli andò incontro sulla soglia della porta comunicante, facendogli cenno con la mano di oltrepassare il banco della reception e di raggiungerlo nella sua stanza.
«Tutto a posto dottore; ah, il corriere è arrivato col toner della stampante, adesso può stampare di nuovo anche a colori.»
«Ottimo! Vieni Alex, siediti» disse ad Alexandre, prendendolo sottobraccio e chiudendo la porta.
«Marta mi ha detto che eri a pranzo con Maynards! Intendo dire... QUEL Maynards?» chiese eccitato Alexandre.
«No, non il celebre Professore. Ero a pranzo col figlio; abbiamo frequentato le scuole insieme, ci conosciamo da tanti anni.»
«Come sta il buon vecchio Matt? Mon dieux, sarà una vita che non lo vedo! Ormai sta sempre a Strasburgo o a Bruxelles. Che ci fa qui a Monaco?»
Max fu relativamente sorpreso.
«Tu come lo conosci?»
«Ci incontrammo la prima volta a Strasburgo, quando lavoravo al consolato tedesco» rispose il francese. «Lui era appena diventato parlamentare europeo e frequentava spesso la nostra sede per informazioni, documenti e traduzioni; a volte telefonava per appuntamenti e poiché io stavo spesso allo sportello aperto al pubblico lo richiamavo per informarlo quando le sue carte erano pronte.»
Mentre parlava, Alex sembrava avere nostalgia del passato.
«Dopo qui a Monaco, quando lavoravo al consolato francese, venne con la delegazione del Ministero degli Interni ad accogliere il nuovo console; ci riconoscemmo, andammo spesso a bere qualche birra insieme, a parlare di cazzate: faceva il portaborse di qualcuno, un pezzo grosso del Ministero. Poi fu chiamato a Bruxelles: da quel momento non l’ho praticamente più visto, anche perché ho lasciato il lavoro in consolato prima che lui andasse da Pordan.»
«Lui mi aveva raccontato di sé e dei suoi amici; in effetti mi aveva accennato che uno di loro faceva traduzioni. Ecco perché quando ho avuto bisogno di tradurre il manoscritto lasciato a metà – ricordi? – venni da te!»
Max rimase ancora più attonito e perplesso; non avrebbe mai immaginato una simile concatenazione di eventi e di relazioni personali, che talvolta s’ignorano per tutta la vita se nessuno ce le svela.
«E dimmi, come sta Matt? Com’è andato il pranzo?»
«Matt sta bene, sì... sta bene. Solo che io non lo riconosco più; siamo rimasti amici per la pelle come da ragazzi, ma solo finché evitiamo di parlare di politica...»
Max fece un profondo respiro, pensando al litigio di poco prima. Poi sbatté gli occhi ripetutamente guardando la scrivania e sorrise amaramente ad Alex. Guardandolo negli occhi con una tacita richiesta di comprensione infine aggiunse: «Bene... Parliamo del tuo piano delle lezioni per il corso di francese!» esclamò cambiando argomento e sfoderando il suo sorriso migliore.
Da qualche anno la signora Perewan aveva accettato la proposta di una ditta privata di spedizioni e prestato il locale della propria sartoria per la consegna e il ritiro di corrispondenza e pacchetti di piccole dimensioni.
I clienti venivano a ritirare nel suo negozio i plichi che non era stato possibile consegnare a domicilio; ricevevano un avviso nella cassetta della posta e sapevano di poter ritirare comodamente le spedizioni dalla signora o dai figli durante tutto l’orario di apertura, compreso il sabato mattina dalle nove a mezzogiorno. Allo stesso modo lasciavano a loro le buste o i pacchetti che il corriere avrebbe dovuto ritirare nell’arco della giornata.
Quel pomeriggio, non appena il venditore ambulante era uscito dal negozio, la signora aveva registrato la busta di questi puntando il lettore ottico sul codice a barre dell’adesivo che ci aveva incollato sopra.
La scansione era comparsa in tempo reale sul terminale della ditta di spedizioni, nel deposito alla periferia della città. Col suo furgone bianco, un corriere si era presentato in Moosburgerstraße per il ritiro meno di un’ora dopo.
Si era poi diretto verso la stazione centrale e con la chiave trovata dentro la busta aveva aperto uno degli armadietti di sicurezza del deposito bagagli; ne aveva estratto un plico e con quello aveva fatto ritorno alla centrale in Fürstenried, consegnando il plico a Timo Petric, uno dei due titolari
della ditta.
Petric aveva raggiunto il suo socio nella stanza sul retro, aveva chiuso bene la porta e una volta soli avevano esaminato il contenuto del dispaccio.
«È la relazione di Mircea?», gli chiese il socio.
«Sì, come sempre orari, itinerari e nella SD card dovrebbero esserci le immagini riprese con la fotocamera nascosta», rispose Timo allungandogli il plico.
«Speriamo che non l’abbia nascosta troppo bene, come la volta scorsa! Si vedevano soltanto pantaloni, scarpe e poi fiori, fiori e ancora fiori!»
«Serdar, stai sempre a lamentarti: fra tutti i nostri informatori, Mircea è il più affidabile.»
«Sì. Quando non si è appena fatto!», replicò il socio.
Sul monitor si aprivano uno dopo l’altro automaticamente i fotogrammi contenuti nella card.
«Dai un’occhiata alle immagini e manda tutto all’Ispettore; speriamo che siano visibili e riconoscibili i volti.»
«A occhio e croce sì: questo sembra proprio il nostro uomo e questi probabilmente i gorilla; ma quest’altro invece? Beh ora mando tutto ai ragazzi a l’Aja, ci penseranno loro a riconoscerlo.»
«Ok, io torno in reception a giocare a Battaglia nasale» rispose Timo. «Quel gioco è talmente additivo che non riesco a smettere, questo Zuzzi è un creatore di videogiochi geniale. Quando hai finito qui, passa da me che ci andiamo a fare un drink da qualche parte.»
Il socio era già con l’orecchio attaccato al cellulare e si limitò a fare un cenno d’intesa col capo e con la mano, mentre Petric chiudeva la porta dietro di sé.
Non appena ottenne risposta dall’altro capo del telefono, Serdar disse: «Özbiliz, Ispettore. Le sto mandando l’ultima relazione.»
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