"In Europa ci sono già i presupposti per l'esplosione di un conflitto sociale. Questo è il seme del malcontento, dell'egoismo e della disperazione che la classe politica e la classe dirigente hanno sparso. Questo è terreno fertile per la xenofobia, la violenza, il terrorismo interno, il successo del populismo e dell'estremismo politico."

Recensione di Matteo Bortolon, La Fionda rivista

Un romanzo di genere spionistico riflette sul nostro immediato (possibile?) futuro di una nuova Europa unificata ma al prezzo di democrazia e benessere collettivo.


La distopia è un genere discretamente diffuso. Negli ultimi anni si possono contare diversi esempi, fra cui la serie di romanzi e film Hunger Games, quelli di Divergent e anche – volendo – la saga di Maze Runner oltre al più commerciale The Purge (per non citare il classico Equilibrium del 2002). Normalmente si dipinge una società con caratteristiche profondamente regressive che allude a linee di evoluzione della nostra. Si pensi al bellissimo – e poco conosciuto in Italia – Logoland di Max Barry.

Uropia, il Protocollo Maynards, è un romanzo thriller che si colloca in questa tradizione; forse lo si potrebbe facilmente consegnare al genere fantapolitica, visto che la distopia spesso propone un mondo molto lontano cronologicamente dal nostro o in cui la legittimazione di pratiche attualmente non accettate (dalle uccisioni  arbitrarie dei dissenzienti alla manipolazione genetica) con modalità così al di fuori della nostra ordinarietà per mezzi tecnologici o nuove costruzioni sociali (nuovo sistema di caste in divergent; repressione per legge delle emozioni in Equilibrium) pone una robusta barriera davanti al lettore/spettatore: ovvio che non siamo così, ma (brivido) potremo mai diventarlo?

Il romanzo di Pietro Bargagli Stoffi invece ci getta in faccia se non la realtà presente, uno scenario che è molto realistico: alla fine è stato creato lo Stato europeo unitario che sussume i precedenti trenta paesi. Il sogno di tutti gli europeisti più idealisti non è però troppo bello. Per il primo terzo del testo vediamo il protagonista muoversi in questo nuovo continente e nel suo ambiente, piuttosto borghese e benestante, con le trasformazioni politiche sullo sfondo.

Da quando la trama prende lena in un susseguirsi di colpi di scena capiamo che la nuova entità politica ha dato luogo ad una sostanziale privazione di democrazia, in cui proliferano le manovre fra centri di potere incontrollati con crescenti poteri. Cercando di non svelare troppo la trama, dato che per una narrativa di carattere spionistico è importante non dire troppi dettagli, facciamo riferimento ai temi che vengono calati nella vita dei personaggi:

  • l’uso di una (immaginaria) piattaforma unica per tutte le utilità quotidiane, MeWorld, echeggia la ubiquitaria presenta (reale) dei nostri smartphone cui ricorriamo per ogni genere di servizi e informazioni; nonché le preoccupazioni sorte in seguito al Datagate per la nostra riservatezza e privacy. La nuova piattaforma saprà dove abitiamo, chi frequentiamo, cosa compriamo perché faremo tutto ciò grazie ad essa. E – manco a dirlo! – si dimostrerà essere poco sicura dinanzi alle agenzie di sorveglianza.

  • La istituzione di un unico nuovo stato, Europa, in seguito a manovre e forzature piuttosto familiari: riforme maggioritarie, sovraordinanazione del diritto europeo rispetto alle Costituzioni nazionali, referendum reiterati quando non danno l’esito sperato per accelerare la integrazione comunitaria (ma pensa un po’ che fantasia ha questo scrittore!) ed attentati terroristici molto opportunamente per spingere verso più Europa. Tutto ciò crea centri di controllo di carattere polizesco non adeguatamente controbilanciati.

  • La creazione antidemocratica di Europa non è un’isola, cioè fuori non c’è l’anglosfera libera; è un tassello di un unico movimento globale – o, se si preferisce, uno fra tanti elementi che vanno in convergenza – per limitare la democrazia in ogni parte del mondo. Su questa articolazione globale dell’oppressione “soft” (più Huxley che Orwell insomma: non sorveglianza polizesca ma sottili meccanismi di controllo, non esclatanti) ci sono pochi accenni, ma non c’è un “Grande Vecchio” che domina tutto, bensì settori diversi all’interno delle varie organizazioni politiche e spionistiche che si alleano per scopi comuni, una fazione della CIA può lavorare con agenti russi per obiettivi contrari a quelli di altri settori della stessa Agenzia.

  • La possibilità che un movimento civico venga infiltrato da forze populiste-identitarie e che così snaturi il suo ruolo: gravato da correnti xenofobe, non potrebbe più raggiungere un largo consenso ma si consegna alla nicchia da destra radicale.


Se il 2019 con le roventi polemiche sul MES avevano creato un terreno in cui si poteva leggere Uropia come romanzo del futuro prossimo, il 2020 in piena pandemia pare restituirlo ad una dimensione più remota, consegnando il sogno di unificazione continentale – nella più flagrante mancanza di orizzonti comuni, soprattuto di carattere solidale – alla improbabilità più acuta.

Oltre a ciò vorremmo cogliere una più sottile ambiguità del finale, che se pare da un lato un rassicurante happy end con la marginalizzazione di una componente criminale del fronte antagonista, dall’altro si colloca in un nuovo assetto ben definito che pare un passaggio irreversibile. Uno sbocco conseguente ad una trama che se da un lato sembra ricalcare grandi classici spionistici, ad una osservazione più ravvicinata si rivela molto più antiromanzesca: il protagonista, è un antieroe  un po’ ingessato nella impotenza di fronte al Potere, anziché darsi a drammatiche contromosse stile Il fuggitivo per dare scacco agli antagonisti riesce solo a sottrarsi alle peggiori conseguenze.

Il finale contrariamente alla resa dei conti del cliché avventuroso suona un po’ fornito da qualche deus ex machina, un po’ come se James Bond vincesse perché l’antagonista inciampa e muore da sé. Conoscenza critica della Ue, ma non azione eroica quindi. Nemmeno il movimento che dà nome al romanzo – Uropia – si dimostra pienamente risolutivo. Non proprio un fulgido ottimismo, riflettendo sull’ultime scene, per il nostro futuro: i protagonisti non problematizzano la cosa, godono di una loro vittoria all’interno di uno scenario che non percepiscono come negativo (uno in particolare…), Europa è diventata il loro habitat naturale. Quindi il lettore vede la negatività del sistema, i personaggi no.

Speriamo che il lettore, cui tocca vivere l’Europa reale cioè la UE, cerchi di andare oltre: i colpi di fortuna sono pochi e in genere non durano tanto.


Pietro Bargagli Stoffi,  Uropia. Il protocollo Maynard, Biblioteka Edizioni, Roma 2019.


Matteo Bortolon

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