"In Europa ci sono già i presupposti per l'esplosione di un conflitto sociale. Questo è il seme del malcontento, dell'egoismo e della disperazione che la classe politica e la classe dirigente hanno sparso. Questo è terreno fertile per la xenofobia, la violenza, il terrorismo interno, il successo del populismo e dell'estremismo politico."

Prova di lettura II

IL COMPLEANNO DI SIMONE

Il locale era pieno; dalle finestre provenivano una luce calda e un piacevole brusio, tale che chi fosse passato di lì e non avesse avuto un invito o semplicemente la voglia di spendere una serata in paninoteca, avrebbe avuto il desiderio di far parte di quella comitiva, almeno per un istante.
Poi avrebbe tirato diritto, pensando alle proprie incombenze e ai propri impegni.
Max spinse la porta di legno e vetro e con Alberto entrò nel piccolo ingresso, nel quale pesanti tende di feltro riparavano dal freddo invernale i clienti seduti vicino all'entrata.
"Da Giovanni" era una vera paninoteca italiana.
In Italia, quando si parla di panini, s’intende vero pane fresco: una ciabatta croccante o una focaccia casereccia, aperta in due longitudinalmente con il coltello, sul momento, e farcita con ciò che il cliente desiderava tra salumi, formaggi, sottaceti, varie salse e tutto quello che Giovanni preparava ed esponeva nella teca di vetro davanti all'ingresso.
Niente a che vedere con quella merda di fast food, mosci surrogati di pane e dubbi succedanei della carne.
Da Giovanni si poteva anche mangiare il "piatto del giorno": in genere tipiche ricette italiche per spaghetti o penne; bere vino, birra, liquori e schnaps.
Gli amici del gruppo erano clienti abituali e anzi emeriti, sin dall'apertura, e non era stata una sorpresa che Simone avesse scelto proprio la paninoteca per festeggiare il suo compleanno, e per "dare un annuncio importante".
Infilando le teste tra le tende di feltro, mentre si toglievano le giacche, Max e Alberto osservarono i presenti, cercando con lo sguardo volti conosciuti.
Al tavolo centrale, davanti al banco del bar c'erano Simone con sua moglie Katerina e altri amici del gruppo; Giovanni dietro il banco a farcire panini, con i suoi riccioli neri, ormai sbiaditi, le rughe orizzontali sulla fronte e l'abbronzatura permanente; poi Max incrociò lo sguardo di Anna, tra i tavoli vicini alla parete, che chiacchierava con Michaela e altri ragazzi e ragazze che lui non conosceva.
La ragazza indossava un semplice ma elegante abito nero che le cadeva perfettamente, senza nascondere ma senza nemmeno evidenziare eccessivamente le sue piacevoli forme.
L’abito le copriva le gambe fino a poco sopra al ginocchio e aveva una cintura semilucida, apparentemente di pelle, applicata alla vita ad abbellire il vestito e a sottolineare l'attraente stacco tra la vita e i fianchi.
I capelli color marrone chiaro - "Biondo scuro, prego!" - con colpi di sole molto naturali, un naso piccolo e diritto, una bellissima bocca con morbide labbra sensuali, rosse di natura.
I suoi occhi color marrone chiaro, dolci, ma dalla forma affilata, e sormontati da accattivanti sopracciglia arcuate, folte ma sottili, lo fissarono un solo istante e sembrarono recepire sbadatamente la sua presenza; poi lo sguardo si distolse e fece un casuale giro della stanza, per tornare ai propri interlocutori.
Max ebbe una piacevole e inspiegabile sensazione a quel contatto oculare; poi continuò a guardarsi intorno, prendendo in considerazione gli altri avventori casuali del locale, finché la voce di Simone lo chiamò rumorosamente in causa insieme ad Alberto: "Ragassi!  Mo zi pensciàm noi! Venite, amìzi!", e sbracciandosi li invitò al banco del bar.
I due amìzi si fecero largo tra gli astanti e raggiunsero il festeggiato, abbracciandolo e congratulandosi con lui.
"Sono venuti tutti per te, vero?," disse Alberto scherzando, indicando gli sconosciuti clienti che occupavano i tavoli non riservati.
"E zèrto! ... È tutta roba mia!", rispose Simone con un sorriso sfacciato e menzognero.  Poi mise le braccia sulle spalle dei due amici, uno a destra l'altro a sinistra e li accompagnò per qualche passo.
"Tutti i tavoli con il cartellino "riservato" sono a nostra disposizione; sostanzialmente questa metà della stanza è tutta nostra, il resto sono persone che non hanno niente a che vedere con la mia festa.  O per lo meno... non ancora, ma loro non lo sanno!" e rise fragorosamente.
Anche Robert e Sasha si fecero spazio verso il banco del bar per salutare i due amici appena arrivati; Simone si voltò a ordinare per tutti qualcosa da bere.
Dopo aver scambiato qualche facezia tra di loro, Chiara la cameriera arrivò con il vassoio pieno di bicchieri dal quale uno ad uno Simone prese dei gin tonic, distribuendoli agli amici.
Poi con grande sorpresa di Max gli porse sorridendo un Martini Rosso con fetta d'arancia, senza ghiaccio.
"...mio drink preffirito", disse Simone strizzando l’occhio.
Era in effetti il drink preferito di Max!  Questi rimase un attimo a bocca aperta, attonito, poi rise di gran gusto.
"Ancora ti ricordi di quella vecchissima pubblicità?"
"Mo zèrto!  Se non me ne avesse parlato tuo padre, tanti anni fa a casa tua, non l'avrei mai conosciuta!  Era già antica quando io e te siamo nati!  Ma Telly Savalas per me è sempre un mito." e brindò con i bicchieri insieme a tutti gli altri.
Katerina li raggiunse salutandoli e abbracciandoli, ordinando un altro drink analcolico; Max le fece le proprie felicitazioni a bassa voce, nell'orecchio.
"Shhht!  Quasi nessuno lo sa, ancora!", disse ridendo, "Comunque grazie mille!"


Mentre sorseggiava il Martini, Max cercava di ritrovare la sagoma di Anna finché non la riconobbe, in piedi fra i tavoli, che parlava con amici e amiche.  Lui la fissò, anche se lei non lo stava guardando, sperando che lei si voltasse verso di loro; ma per un po' la ragazza rimase di profilo, concentrata sulla conversazione e sui propri interlocutori.
Max intraprese una comunicazione leggera con gli amici senza mai smettere di controllare di tanto in tanto la testa di Anna e finalmente lei si guardò intorno, osservando tutti, poi vedendo Max ma distogliendo subito lo sguardo.  Nei momenti successivi si voltò ancora, apparentemente per controllare se lui la guardava.
O forse erano tutte costruzioni della sua mente, si chiese Max?  Magari lei si stava semplicemente domandando: che ha da guardare questo tizio?
Come sempre prigioniero di questo tipo di dubbi, egli non si mosse dal suo posto e dalla sua cricca.
A un certo punto gli sembrò di leggere sulle labbra di lei che stesse invitando gli amici ad andare tutti quanti al bar a ordinare qualcos'altro da bere; così lentamente il piccolo gruppo raggiunse il bancone, proprio accanto al gruppo di Alberto, Simone e Max, e tutti si scambiarono i saluti.
Max aspettò il proprio turno, cercando di non squadrare la dottoressa per tutto il tempo dell'attesa, poi le sorrise, ricambiato, si strinsero la mano, strinse la mano a Michaela salutandola, sorrise e strinse la mano anche agli altri ragazzi.
“Hey, ciao!”, "Come va?", "Te, come va?", "Bevete qualcosa?"
Durante la conversazione Max e Anna non si erano mai parlati direttamente, ma - per una naturale, meccanica rotazione dei gruppi di persone che stanno in piedi, si allontanano, ritornano, si aggiungono - i due finirono per avvicinarsi un po' alla volta, trovandosi così uno accanto all'altra.
Casualmente.
Anna smise a un certo punto di intervenire nella conversazione del gruppo, allora Max pensò che fosse il momento del bla-bla-bla.
"Che effetto fa insegnare all'università?”, le chiese.
“Sai, quando ero studente il mio sogno era quello di diventare assistente e ritrovarmi dall'altra parte della cattedra rispetto ai miei ex compagni di studi.  Cosa non avrei dato!"
"Personalmente -rispose lei- farei volentieri a meno della docenza e mi dedicherei completamente alla ricerca!”.
“Durante ogni corso devo preparare le lezioni del giorno successivo e ti puoi immaginare: a volte non ne ho il tempo, o la voglia, e spero soltanto che nessuno mi faccia troppe domande!  E poi non mi piace essere al centro dell'attenzione e parlare davanti a decine di persone, da sola."
"Oh, io invece credo che adorerei fare il saccente di fronte ad una vasta platea!" e allargò gli occhi simulando l'espressione di un pazzoide megalomane.
Poi tornò a sorridere normalmente e con espressione bonariamente maligna aggiunse: "Uno dei prossimi giorni passo di nascosto in Università e ti cerco!  Mi presento in aula mentre fai lezione e comincio a farti decine di domande rompipalle!"
Guardandolo dal basso in alto con la testa reclinata di lato, stringendo le labbra sorridenti, Anna gli snocciolò il proprio calendario delle lezioni delle settimane successive con occhi taglienti di sfida.
Uno sguardo bello e terribile, come una lama di spada che penetra qualsiasi corazza.
"Così tu saresti Max, l'ebreo italiano?", chiese poi con uno sguardo inquisitore, divertito e provocatore.
Max la fissò per un istante.
Poi proruppe in una fragorosa e sincera risata che fece ridere anche lei.
"Penso di capire la tua domanda, ma ... no, non sono ebreo e sono nato qui in Germania.  Ma entrambi i miei genitori sono italiani - purtroppo mia madre non c'è più da sei anni; ma nessuno dei due è ebreo, perché entrambi avevano solo il padre ebreo, non la madre; quindi per regola non sono figlio di genitori ebrei, né di madre ebrea.  E quindi non sono affatto ebreo.", rispose sorridendo.
“Spero che tu ci abbia capito qualcosa!”, aggiunse.
Quasi con imbarazzo Anna volle precisare che qualcuno le aveva fatto un accenno in proposito ed era curiosa di chiedere direttamente a lui, e...
"Hahaha!  Nessun problema, mi fa piacere che - stava pensando che gli faceva piacere l'idea che s’interessasse a lui, ma, NO, non è questo che doveva dirle! - ... che tu sia il tipo di persona che chiede direttamente, senza credere a tutto quello che si racconta.  Ti stimo per questo!", rispose sorridendo.
Quindi aggiunse: "E tu invece?  Huberbauer sembra un tipico cognome bavarese, ma tu non hai la tipica inflessione dei bavaresi."
"Sono bavarese al cento per cento, da generazioni!  Ma con i miei non abbiamo mai parlato il dialetto, in casa; anche se l’ho imparato dai miei nonni, lo capisco e lo parlo."
"Meglio di no!” la sconsigliò lui scherzosamente agitando i palmi delle mani.
“Io non lo capisco quasi per niente: in famiglia abbiamo sempre parlato italiano e a scuola ho imparato l'hochdeutsch!  Talvolta in certi negozi della città sono veramente in difficoltà quando scelleratamente chiedo informazioni a commesse o cassiere."
"Quindi tu sei nato qui, ma cresciuto in Italia?"
Max le raccontò per sommi capi dei suoi genitori, del loro incontro, della loro differenza di età, della sua nascita.  Della sua infanzia e l'istruzione nelle scuole di Monaco di Baviera; del gymnasium italiano e della sua decisione di frequentare l'università in Italia, per perfezionare la conoscenza della lingua dei genitori, ma anche per avvicinarsi alle proprie radici.
Uno squillo di metallo tintinnante su un bicchiere di vetro richiamò l'attenzione di tutti.  Si fece silenzio anche tra i clienti che non si trovavano lì per il compleanno.
Simone salì su una sedia in mezzo al locale, si schiarì la voce e con il suo tipico sguardo da istrione, la gestualità marcata e il tono perfettamente impostato -frutto di anni di attività di teatro amatoriale - ringraziò tutti i presenti cercando di dedicare un breve motto di spirito a ciascuno, o di ricordare momenti comuni dei suoi primi quarant'anni.
"Inoltre io e Katerina vorremmo darvi un’importante e bellissima notizia; presto avremo pochissimo tempo per eventi mondani come questo, perché... stiamo per diventare genitori per la seconda volta!  Stavolta di una bambina."
A quel punto l’intero locale esplose in applausi, grida e congratulazioni!
Gli amici di Simone circondarono lui e Katerina, li abbracciarono, strinsero loro le mani.
Poi tutti tornarono a spargersi fra i tavoli a conversare.


Dalla porta entrarono due marcantoni in giacca e cravatta con gli auricolari all'orecchio.
In mezzo a loro un ragazzo con gli occhi azzurri, biondo, con i capelli pettinati all'indietro; alto e atletico, in un pullover beige di finissimo cachemire sopra la camicia bianca e ai pantaloni di velluto a coste color verde militare.
Disse ai due energumeni di restare sulla porta, si fece spazio tra le persone e raggiunse Simone e Katerina.
"Tanti auguri!  Intendo, non solo a te Simo, ma anche a te Katerina, a voi due!", disse con un affettuoso sorriso.
"Non ci posso credere!  Ce l'hai fatta a venire da Bruxelles, nonostante gli impegni?  Grazie mille, sei il benvenuto!  Siediti beviamo qualcosa assieme!"
"Purtroppo Simone, questo è il problema: ce l'ho fatta a venire, ma non posso stare più di qualche minuto.  Ho il compito di organizzare l'arrivo di Pordan per domani e il suo intervento alla conferenza sulla sicurezza della prossima settimana.  Devo subito tornare in albergo."
"Oh!  Dai Matthew non importa, capisco!  Ma mi ha fatto veramente piacere, CI ha fatto veramente piacere che tu sia venuto!", disse Simone voltandosi verso Katerina, che a sua volta annuiva sorridendo.
"Passo a trovarvi una sera in settimana, appena ho un momento libero, promesso; io nelle pause della conferenza un po' di tempo ce l'avrei, ma purtroppo tu di giorno stai a scuola!  Dai, ti scrivo."
"Ok, facci sapere: grazie mille per essere passato!  Buon lavoro allora."
Max riconobbe Matthew e si avvicinò in fretta al tavolo di Simone.
"Matt!  Come stai?  Ci voleva il compleanno di Simone per rivederti a Monaco!", disse ridendo.
Matthew lo abbracciò e si scusò, adducendo comprensibili impegni legati al suo ruolo politico, ma chiese a Max se il lunedì all'ora di pranzo avesse avuto tempo per mangiare assieme e chiacchierare.
"Posso lasciare l'agenzia quando voglio, tanto fino alle sei c'è Marta, la nostra segretaria, non farti problemi.  Scrivimi domani e dimmi dove e a che ora: io ci sarò!", rispose.
"Scusatemi tanto, di nuovo, ma devo proprio andare” - disse Matthew voltandosi verso la porta d'entrata - “altrimenti vengono gli orchi cattivi a trascinarmi via" e indicò le due guardie del corpo le cui centinaia di ore in palestra sembravano dover fare saltare i bottoni delle giacche e delle camicie da un momento all'altro.
"Vai, vai: ubi maior, minor cessat!" disse Simone.
Con lo sguardo lui e Max seguirono l'amico raggiungere gli orchi cattivi e uscire dal locale in mezzo ai due, come in un sandwich.
"Non ho mai saputo se invidiarlo o compatirlo...", commentò Simone.
"Nemmeno io.  Ma se è felice così sono contento per lui."


A mezzanotte le luci si spensero improvvisamente, quasi del tutto, ad eccezione delle lampade a muro che emanavano una luce diffusa in due fasci, verso l'alto e verso il basso.
Nella penombra uscirono dalla cucina Giovanni, Alberto e Robert spingendo un carrello portavivande con un’enorme Sachertorte coperta di candeline accese.
Dalle casse dell'impianto stereo s’interruppe la compilation di musica melodica italiana e partì "Happy Birthday to you"; ancora una volta tutto il locale partecipò alla festa cantando insieme le strofe della canzone.
E quando Simone con un solo soffio spense tutte le candeline, un applauso collettivo lo abbracciò.
La serata trascorse ancora tranquilla e piacevole, Simone e Katerina si sedettero infine a un tavolo con Alberto e Sasha, che avevano invitato Michaela a sedersi con loro; Anna e Max si aggiunsero e ripresero a parlare insieme di se stessi l'uno all'altra, con reciproca curiosità.
Verso l'una Katerina salutò tutti per andare a dormire, vista la sua condizione; ed anche Anna e Michaela si accomiatarono, scambiando abbracci e baci con tutti.
Max le strinse la mano, si guardarono negli occhi, lei gli disse titubante: "Allora...  Ciao!", ma sembrò aspettare qualcosa.
Dentro la testa di Max delle voci cominciarono a farsi vive.
"Forse dovremmo chiedere il numero di telefono..."
"No! Non dobbiamo dare l'impressione di essere mossi da interesse!"
Max e Anna si scambiarono dei bacetti formali e cordiali; tutto quello che lui fu capace di dire fu "Alla prossima!"
"Ma noi siamo mossi da interesse!"
"Ssssssht! Si potrebbe pensare a un interesse meramente fisico, materiale! Non sia mai!"
Lei lo guardò ancora un attimo, un po' sorpresa.
Poi si girò sui due piedi e raggiunse Michaela alla porta.
"Ce lo stiamo lasciando sfuggire..."
Max seguì Anna con lo sguardo; la ragazza aprì la porta e lasciò il locale senza più voltarsi.
"... il nostro tessssoro!"
Pensò di aver perduto un'occasione.
Raggiunse Simone e Alberto e questi non persero la loro occasione.
"Allora?"
"Allora cosa?"
"Ti sei fatto dare il numero di telefono?"
"Ma, non mi sembrava il caso... è la prima volta che ci siamo parlati..."
"Ma stai scherzando?” -  inveì Simone – “Siete stati a parlare mezza serata, voi due DA SOLI, sembrava che noi tutti fossimo solo delle suppellettili!"
"Davvero Max, sembravate una coppietta!  Robert mi ha chiesto persino se lei era la tua nuova tipa!  Secondo me lei ha un certo interesse per te...", confermò Alberto.
"Sai cosa ti direbbe l'ingegner Muti” - aggiunse Simone in tono scherzosamente minaccioso  – “se sapesse che non le hai chiesto il numeroooo?  Adesso gli scrivo un sms e..."
"Non mi sembra il caso di scomodare il buon ingegnere!  Anche e soprattutto considerato lo stadio assolutamente prematuro della situazione.” - rise Max - “E poi lo sapete: io funziono così!  Per certe cose ci vuole il suo tempo.  Ci saranno altre occasioni e state sicuri che se davvero deve succedere qualcosa... succederà!"
Poi si rivolse con espressione impertinente ad Alberto per deviare l'attenzione su di lui.
"Ma ditemi un po', piuttosto: mi era sembrato che qualcuno sia stato tutta la sera a parlare con una certa Michaela!"
"Touché!  Ahm... Giovanni, portaci tre bicchieri di amaro del Capo, offro io!", disse Alberto cambiando argomento.
"Brindiamo a Max augurandogli che... succeda quel che deve succedere!", aggiunse strizzando l'occhio.
Cominciarono a ridere e a scambiarsi pettegolezzi, commenti sugli ospiti, ricordi del passato.
Mentre via via tutti gli invitati e i clienti sfollavano, i tre rimasero fino alla chiusura per aiutare Giovanni e Chiara a rimettere in ordine, raccogliere regali e biglietti d'auguri.
Quando tutto fu pronto, Chiara salutò e lasciò Giovanni a chiudere il locale.
"Giovanni, vieni a sederti e portaci il bicchiere della staffa: tre Montenegro per noi e uno per te: dobbiamo ringraziare Simone per questa splendida serata!", lo apostrofò Max.
Naturalmente di bicchieri della staffa finirono per berne un certo numero che il giorno dopo non riuscirono a ricordare.

Poi con evidenti difficoltà motorie raggiunsero insieme Milbertshofen; lì si separarono e ciascuno tornò a casa propria, Max a piedi con Alberto, Simone e Giovanni con il Tram notturno.


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